INTRODUZIONE
I materiali ceramici utilizzati nelle applicazioni automobilistiche, si collocano fra i cosiddetti “CERAMICI AVANZATI”.
I materiali ceramici avanzati, o neoceramici, trovano la propria origine culturale nei ceramici tradizionali, e in particolare nelle ceramiche tecniche come, per esempio, le porcellane per isolatori elettrici e i materiali refrattari. Dunque giova sottolineare che, salvo in alcuni casi, non si tratta di materiali veramente nuovi, ma di nuove applicazioni di materiali già noti, le cui caratteristiche sono state migliorate e portate ai valori massimi raggiungibili con le tecniche disponibili. Allo stato attuale, non c’è una definizione ufficiale per i ceramici avanzati e per questo motivo gli organismi internazionali si stanno muovendo per formulare una definizione nella quale non dovrebbero essere inseriti i vetri e i materiali sotto forma di cristallo singolo. E’ dunque possibile riassumere la definizione nel seguente modo: “prodotti inorganici, non metallici, policristallini, provvisti di rilevanti prestazioni strutturali e/o funzionali”.
Per prestazioni “strutturali”, si intende la capacità del ceramico di resistere alle sollecitazioni meccaniche e all’usura in condizioni di temperatura e pressione molto elevate;
Per prestazioni “funzionali” le eventuali proprietà elettriche, elettroniche, ottiche e magnetiche che essi possono presentare in particolari condizioni di temperatura, pressione e composizione dell’ambiente circostante.
Le prestazioni dei materiali ceramici possono essere “tradizionali” o “avanzate” a seconda della purezza della materia prima e dell’accuratezza del processo produttivo. Nel corso degli anni, grazie al controllo dell’intero processo produttivo sempre più accurato, si è ottenuto un crescente miglioramento della microstruttura e, conseguentemente, delle prestazioni cui a corrisposto una continua espansione degli impieghi, come illustrato nella seguente tabella:
FUNZIONI
PROPRIETA’
APPLICAZIONI
MATERIALI
Meccaniche
Caratteristiche di attrito
Lubrificazione solida
Resistenza all’abrasione
Resistenza meccanica
Durezza e resistenza allo scorrimento viscoso
Lubrificanti solidi
Abrasivi e utensili
Anelli di tenuta
Parti di macchine di alta precisione e lunga durata
Al2O3 C BN
TiC TiN TiB2
B4 CWC ZrB2
SiC Si3N4 ZrO2
Termiche
Coefficiente di dilatazione termica
Resistenza agli sbalzi termici
Isolamento
Conduttività e capacità
Refrattarietà
Rivestimenti di forni
Elettrodi per alta temperatura
Pozzi di calore per l’elettronica
Barriere termiche
SiC TiC TiB2
Si3N4 BeO MgO
ZrO2 Al2O3
Nucleari
Resistenza alle radiazioni
Refrattarietà e resistenza meccanica all’alta temperatura
Combustibili nucleari
Rivestimenti e materiali per schermatura
UO2 UC US
ThS SiC B4C
Al2O3 BeO
Ottiche
Trasparenza
Trasmissione
Polarizzazione
Fluorescenza
Lenti ottiche per HT
Lampade a vapore Na,Hg
Fibre ottiche, diodi
Fonti per radar laser
Al2O3 MgO
Y2O3 SiO2 CdS
ZrO2 TiO2 ZnS
Elettriche
Magnetiche
Isolanti e conduttori
Semiconduttori
Dielettrici piezoelettrici
Magneti-elettrodi MHD
Superconduttori
Resistenze-capacità
Sensori e trasduttori
Oscillatori e pile
Ricevitori antenne e memorie calcolatori
Ferriti
Pervskiti
SnO, ZnO, SiO2
BeO SiC Al2O3
Chimiche
Biologiche
Assorbimento e catalisi
Membrane e filtri
Biocompatibilità
Inerzia chimica
Catalizzatori, filtri
Endo protes, supporti
Sensori gas e temperatura
Reattori inerti
Zeoliti, MgO
Al2O3 SnO2
ZrO2 Apatite
Tab.1: Applicazioni dei materiali ceramici avanzati
1. IL PROCESSO CERAMICO
1.1 Polveri ceramiche
La produzione dei componenti ceramici, richiede l’utilizzazione di polveri di elevata purezza e granulometria uniforme. Esse si possono ottenere da materie prime naturali attraverso una serie di trattamenti chimici di purificazione oppure tramite la sintesi di prodotti chimici più semplici. Una polvere ideale dovrebbe avere composizione chimica e purezza rigorosamente controllate, taglia delle particelle micronica o sub-micronica, assenza di agglomerati, distribuzione stretta e centrata intorno al valore medio con morfologia sferica.
1.2 Sintesi e produzione dei “neoceramici”
I metodi utilizzati dalle industrie per la produzione sono i seguenti:
􀀹
Produzione per reazione allo stato solido
􀀹
Produzione tramite decomposizione termica
􀀹
Produzione di polveri in fase di vapore
􀀹
Metodi in soluzione
Dei precedenti metodi di produzione, quella “per reazione allo stato solido” è la più utilizzata: le materie prime vengono miscelate e trattate ad alta temperatura. Durante il processo si formano le nuove fasi per reazione allo stato solido, durante il quale il trasporto di materia avviene per diffusione. Il prodotto viene macinato e non è insolito che la cottura e la macinazione siano ripetute più volte al fine di assicurare la reazione completa e omogenea.
Tra le sostanze prodotte con questo metodo ritroviamo: polveri di spinello cubico (MgO*Fe2O3) o di ferrito di bario esagonale (BaO*6Fe2O3), titanato di bario (BaTiO3), cordierite (2MgO*2Al2O3*5SiO2) e carburo di silicio (SiC). Una variante di tale sistema è quello della fusione delle polveri reagenti. In questo caso esse vengono esposte all’arco elettrico ad alta intensità, che permette di raggiungere anche 6000°C. A seguito del raffreddamento, si formano nuove fasi cristalline che vengono trattate con un metodo simile al precedente. Questa è la tecnologia applicata ai refrattari elettrofusi, con la quale si possono ottenere ossidi e loro combinazioni (Al2O3 ,ZrO2 ,UO2), mullite (3Al2O3*2SiO2), spodumente (Li2O*Al2O3*4SiO2), ma anche carburi: SiC, TiC e B4C.
Con la “produzione per decomposizione termica” , si possono produrre ossidi ceramici per trattamento termico a temperature uguali o leggermente superiori a quella di decomposizione termica dei rispettivi carbonati, nitrati, acetati ossalati ecc. secondo lo schema: A(s)=B(s)+C(g), dove A, B e C rappresentano composti allo stato solido (s), e gassoso (g). In questo modo è possibile produrre Al2O3, MgO, BaTiO3, (Ni, Zn)Fe2O4, SiC, ecc.. Ovviamente, nel caso di ossidi misti, dopo il periodo di decomposizione è necessario che vi sia la possibilità di una reazione allo stato solido, governata ancora dalla diffusione ma facilitata dal fatto che le distanze di percorso sono ridotte al minimo.
La “produzione di polveri in fase di vapore” sta con gli anni assumendo sempre più importanza dato che consente la produzione di polveri di dimensioni nanometriche, esenti da agglomerati, sovente di forma sferica. I principali inconvenienti sono legati alla difficoltà di produrre polveri multicomponenti a composizione definita e al fatto che esse sono accompagnate da volumi considerevoli di gas che richiedono l’impiego di sistemi di separazione complicati e non sempre quantitativi, come filtri meccanici ed elettrostatici. I reagenti possono essere gas, liquidi, o solidi che devono essere in ogni caso portati nella fase di vapore: le temperature di reazione possono raggiungere anche i 1300 °C. La tecnica può essere suddivisa in tre gruppi: reazioni gas-gas, gas-solido, decomposizione in fase di vapore. Con questa tecnica sono prodotte industrialmente polveri di MgO, Al2O3, Cr2O3 e le loro combinazioni.
L’ultima metodologia è quella dei “Metodi in soluzione”: normalmente questi metodi offrono il vantaggio della semplicità di preparazione anche nel caso di composizioni complesse. L’obiettivo principale è quello di produrre allo stato solido l’omogeneità raggiunta al livello atomico o molecolare nel momento della soluzione. Perciò il passo più delicato è quello della concentrazione e della rimozione del solvente. Tra le tecniche adottate per eliminare il solvente, relative a questo metodo di produzione, si hanno:
􀀹
Precipitazione-filtrazione
􀀹
Evaporazione del solvente
􀀹
Congelamento
􀀹
Sintesi idrotermale
􀀹
Processo sol-gel
1.3 La Formatura
Nel processo produttivo la formatura è lo stadio durante il quale una certa quantità di polvere viene modellata nella forma voluta che sarà più o meno vicina a quella finale, dopo il trattamento termico di sinterizzazione. La dimensione finale sarà perfezionata con operazioni di finitura.
Sulla base delle prestazioni richieste, il produttore sceglie la tecnologia di formatura più conveniente: criteri e fattori che influenzano la scelta del metodo sono schematizzati nella

figura 1. Oltre alla forma desiderata, la microstruttura,e il numero di pezzi può essere maggiorato in modo decisivo dai costi aggiuntivi come quelli della finitura. I costi di investimento iniziale elevati, possono risultare convenienti soltanto al di sopra di un numero di pezzi prodotti e commerciabili (punto di pareggio).
I metodi di formatura dei ceramici avanzati possono essere suddivisi in:
􀀹
Pressatura (a freddo, a caldo, a umido)
􀀹
Plastica (estrusione, iniezione)
􀀹
Colatura
􀀹
Deposizione su nastro

1.4 LA SINTERIZZAZIONE
Con il termine “sinterizzazione”, si intende il processo di densificazione di un compatto di polveri il quale comprende la rimozione della porosità tra le particelle di partenza, la coalescenza e la formazione di forti legami tra particelle adiacenti. Questo processo 6
costituisce la fase centrale della produzione degli oggetti ceramici, compresi quelli tradizionali, e viene impiegato anche nel settore della metallurgia, sostituendo progressivamente le tecniche della fonderia per la realizzazione di oggetti di forma complessa e di piccole dimensioni.
E’ noto che nell’impacchettamento di polveri, considerate come sferette rigide dello stesso diametro, deve rimanere vuoto uno spazio residuo di circa il 26% del volume totale. Naturalmente questo volume vuoto può essere ridotto se la polvere è costituita da particelle non sferiche e di dimensioni diverse, idonee a riempire gli spazi interstiziali che si formano nel contatto tra quelle più grandi. La sinterizzazione tende a ridurre questo spazio vuoto secondo modi e meccanismi che si possono raggruppare in tre diversi tipi:
􀀹
Sinterizzazione viscosa (Vetrificazione)
􀀹
Sinterizzazione con fase liquida
􀀹
Sinterizzazione allo stato solido
7
2. PROPRIETA’ MECCANICHE E TERMICHE DEI MATERIALI CERAMICI
2.1 Generalità
Come classi di materiali, i ceramici sono relativamente fragili. La resistenza a trazione dei materiali ceramici è molto variabile, andando da valori molto bassi, minori di 0,7MPa, fino a circa 7000 MPa di alcuni tipi preparati in condizioni accuratamente controllate. In ogni caso, pochi materiali ceramici hanno la resistenza a trazione superiore a 170 MPa. Inoltre, i materiali ceramici evidenziano una grande differenza tra la loro resistenza a trazione e a compressione; in genere la resistenza a compressione è da 5 a 10 volte superiore della resistenza a trazione.

Inoltre molti materiali ceramici sono duri e presentano una bassa tenacità (bassa resistenza alle sollecitazioni dinamiche), a causa dei legami iono-covalenti. Ci sono però molte eccezioni alle generalizzazioni sopra illustrate: per esempio l’argilla elasticizzata è un materiale ceramico dolce e facilmente deformabile a causa delle deboli forze di legame secondario tra gli strati atomici che hanno invece al loro interno forti legami iono-covalenti.
2.2 Meccanismi di deformazione dei materiali ceramici
La mancanza di plasticità nei materiali ceramici cristallini è dovuta ai loro legami chimici ionici e covalenti. Nei metalli la deformazione plastica avviene principalmente mediante il movimento di difetti di linea presenti nella struttura cristallina (dislocazioni) lungo particolari piani di scorrimento del cristallo. Nei metalli le dislocazioni si muovono per effetto di sollecitazioni relativamente basse a causa della natura non direzionale del legame metallico e del fatto che tutti gli atomi coinvolti nel legame metallico hanno una carica negativa distribuita allo stesso modo sulla loro superficie. Quindi non ci sono ioni di carica positiva o negativa coinvolti nel processo di formazione del legame metallico.
Nei cristalli covalenti e nei materiali ceramici legati covalentemente, il legame tra gli atomi è specifico e direzionale, in quanto implica lo scambio di carica elettronica tra coppie di elettroni. Di conseguenza, quando i cristalli covalenti vengono sollecitati fino ad un livello sufficiente, mostrano una frattura fragile provocata dalla separazione dei legami tra le coppie di elettroni senza la loro successiva riformazione. I ceramici legati in modo covalente inoltre, sono fragili sia nello stato monocristallino, che in quello policristallino.
La deformazione dei ceramici legati prevalentemente con legame ionico è differente. I monocristalli di solidi legati ionicamente, come l’ossido di magnesio e il cloruro di sodio, mostrano una considerevole deformazione plastica per effetto di sollecitazioni di compressione a temperatura ambiente. I materiali ceramici policristallini legati
ionicamente, invece, sono fragili e sviluppano cricche ai bordi di grano. Esaminiamo brevemente alcune condizioni in cui un cristallo ionico può essere deformato, come illustrato in fig. 2.1. Lo scorrimento di un piano di ioni sopra un altro coinvolge ioni di carica differente che vengono a contatto, e quindi possono essere introdotte forze di attrazione e repulsione. La maggior parte dei cristalli con legame ionico che hanno struttura di tipo NaCl scorre lungo i sistemi in quanto lo scorrimento lungo la famiglia di piani coinvolge solo ioni di carica diversa e quindi i piani di scorrimento rimangono legati l’uno all’altro da forze colombiane durante il processo di scorrimento. Lo scorrimento di tipo è indicato dalla linea AA’, di fig.2. D’altra parte, lo scorrimento sulla famiglia di piani , viene raramente osservato perché gli ioni della stessa carica entrati in contatto tendono a separare i piani degli ioni che scorrono uno sopra l’altro. Lo scorrimento di tipo è indicato dalla linea BB’ di fig.2. Molti materiali ceramici nella forma monocristallina mostrano una plasticità considerevole. Invece, nei materiali ceramici policristallini, i grani adiacenti devono variare la loro forma durante la deformazione. Dal momento che ci sono pochi sistemi di scorrimento nei solidi con legami ionici, ai bordi di grano si formano delle cricche, e conseguentemente avviene la frattura fragile. Dal momento che molti materiali ceramici importanti dal punto di vista industriale sono policristallini, la maggior parte dei materiali ceramici tendono ad essere fragili.

2.3 Fattori che influenzano la resistenza meccanica
La rottura meccanica dei materiali ceramici avviene principalmente a causa di difetti presenti nella struttura dei materiali stessi. Le principali cause di innesco della rottura nei materiali ceramici policristallini, sono da attribuire alla presenza di cricche superficiali, prodotte durante la finitura del materiale (porosità), presenti all’interno del materiale e di inclusioni di grani di eccessiva dimensione prodotti durante la lavorazione. I pori nei materiali ceramici fragili sono regioni in cui si concentrano gli sforzi, e quando la sollecitazione in un poro raggiunge un valore critico si forma una cricca che si propaga, in quanto in questi materiali, non ci sono processi con elevato assorbimento di energia come quelli che avvengono durante la deformazione nei materiali duttili. Quindi, una volta che le cricche sono innescate, continuano a propagarsi fino alla rottura del materiale. I pori sono dannosi per la resistenza dei materiali ceramici anche perché diminuiscono l’area della
sezione resistente trasversale sulla quale è applicato il carico e quindi diminuiscono lo sforzo nominale che il materiale può sopportare. Pertanto, la dimensione e la frazione volumetrica dei pori nei materiali ceramici sono fattori che influenzano notevolmente la loro resistenza.

Effetto della porosità sulla resistenza a trazione trasversale per l’Al2O3
Anche i difetti possono essere critici nel determinare la resistenza a rottura dei materiali ceramici. Un grande difetto può essere il fattore più importante che influisce sulla resistenza di un materiale ceramico. In materiali ceramici di elevata densità nei quali non ci sono grandi pori, la dimensione dei difetti è di solito messa in relazione alla dimensione dei grani. Per materiali ceramici senza porosità, la resistenza di un materiale ceramico puro è funzione della dimensione dei grani: i materiali ceramici con dimensioni dei grani più

piccole hanno difetti di dimensioni minori ai loro bordi di grano e quindi sono più forti di quelli con grani di dimensioni maggiori.
La resistenza meccanica di un materiale ceramico policristallino è determinata da molti fattori che comprendono la composizione chimica, la microstruttura e le condizioni superficiali come fattori principali. Anche la temperatura e l’ambiente sono importanti, come pure il tipo di sollecitazione e la modalità di applicazione. In ogni caso, la rottura della maggior parte dei materiali ceramici a temperatura ambiente è di solito originata dal difetto di dimensione maggiore.
2.4 Tenacità dei materiali ceramici
I materiali ceramici, per la loro combinazione di legami covalenti e ionici, hanno una intrinseca bassa tenacità. Negli anni passati è stato effettuato molto lavoro di ricerca con l’obiettivo di aumentare la tenacità dei materiali ceramici. Con processi come la pressatura a caldo dei ceramici con l’uso di additivi o processi che determinano legami mediante reazioni chimiche, sono stati prodotti materiali ceramici avanzati con tenacità più elevata. Su campioni di materiali ceramici possono essere eseguite prove di tenacità alla frattura per determinare i valori di K1c. In modo analogo alle prove di tenacità alla frattura dei metalli. I valori di K1c per i materiali ceramici sono ottenuti di solito utilizzando una prova di flessione in quattro punti con un campione a forma di trave con un solo intaglio oppure un campione con intaglio Chevron:

L’equazione della tenacità alla frattura: (2.1)
che lega i valori di tenacità alla frattura allo sforzo e alla dimensione massima dei difetti, può essere utilizzata per i materiali ceramici. Nell’equazione (2.1) K1c è misurato in MPa, lo sforzo in MPa , e a (metà della dimensione del massimo difetto interno, in metri. Y è una costante adimensionale, pari a circa 1. Questa equazione può essere utilizzata per determinare il massimo difetto che un particolare materiale ceramico, con una tenacità alla frattura e una resistenza note, può tollerare senza rompersi.

2.4 Rottura per fatica dei materiali ceramici
Nei metalli la rottura per fatica avviene in presenza di sforzi ciclici ripetuti, a causa della nucleazione e della crescita di cricche all’interno di un’area incrudita di un campione. A causa dei legami iono- covalenti degli atomi, in un materiale ceramico durante gli sforzi ciclici, non si ha plasticità. Di conseguenza la rottura per fatica nei materiali ceramici è rara. Recentemente sono stati riportati risultati di una crescita stabile di cricche di fatica a temperatura ambiente sotto sforzi ciclici di compressione-compressione in piastre intagliate di allumina policristallina. Una cricca diritta di fatica è stata prodotta dopo 79000 cicli di compressione. La propagazione di microcricche lungo i bordi di grano porta alla rottura finale di tipo intergranulare per fatica. E’ stato svolto molto lavoro di ricerca per ottenere materiali ceramici più tenaci in grado di sopportare sforzi ciclici senza subire fenomeni di fatica per applicazioni quali i rotori delle turbine.

(a) Micrografia ottica che mostra la cricca di fatica (l’asse di compressione è verticale).
(b) Fotografia al microscopio elettronico a scansione della stessa zona sullo stesso campione dove è evidente la rottura di tipo intergranulare.

2.5 Materiali ceramici abrasivi
L’elevata durezza di molti materiali ceramici li rende utili come materiali abrasivi per il taglio, la rettifica e la levigatura di altri materiali con durezza inferiore. L’allumina (ossido di alluminio), e il carburo di silicio fusi sono due degli abrasivi ceramici più comunemente utilizzati. Prodotti abrasivi come le carte o le mole sono fabbricati legando insieme singole particelle di materiale ceramico. I materiali leganti includono i materiali ceramici cotti, le resine organiche e le gomme. Le particelle di materiale ceramico devono essere dure e avere spigoli vivi taglienti. Inoltre, il prodotto abrasivo deve avere una struttura con un certo grado di porosità per garantire la presenza di canali per il flusso dell’aria o del liquido di raffreddamento. I grani di ossido di alluminio sono più tenaci di quelli di carburo di silicio ma non sono altrettanto duri, e quindi il carburo di silicio viene normalmente utilizzato per i materiali più duri. Combinando l’ossido di zirconio con quello di alluminio, sono stati sviluppati abrasivi migliori che hanno resistenza, durezza e affilatura maggiore del solo ossido di alluminio. Una di queste leghe di materiali ceramici contiene il 25% di ZrO2 e il 75% di Al2O3 e un’altra il 40%di ZrO2 e il 60% di Al2O3. Un altro importante abrasivo ceramico è il nitruro di boro cubico, che ha il nome commerciale di Borazon. Questo materiale è duro quasi come il diamante, ma ha una stabilità termica maggiore.

2.6 Proprietà termiche dei materiali ceramici
Le caratteristiche termiche dei ceramici sono fondamentali per le applicazioni a temperature elevate, con degli sbalzi termici oppure dove sia necessaria una prestazione da isolante termico o da refrattario.
Il valore del coefficiente di dilatazione termica è strettamente legato alla natura del legame chimico e alla struttura cristallina. Infatti, l’aumento di volume che si osserva con l’aumento della temperatura è espressione dell’aumento delle vibrazioni termiche degli atomi rispetto alla loro posizione di riposo, a bassa temperatura. Tuttavia questa posizione non rimane la stessa perché l’ampiezza dell’oscillazione non aumenta in modo simmetrico intorno al punto di equilibrio. In pratica le distanze d’equilibrio tra le particelle sono maggiori con l’aumento della vibrazione termica a causa della dissimmetria della curva dell’energia potenziale delle particelle. Questa asimmetria è maggiore nei legami ionici rispetto a quelli covalenti per cui nei composti ionici il coefficiente di dilatazione sarà maggiore. Inoltre, i composti che cristallizzano secondo strutture compatte si dilatano di più rispetto a quelli con strutture più aperte perché queste ultime, oltre a offrire più spazio interno, possono anche modificare gli angoli delle direzioni di collegamento tra gli ioni o gli atomi.
Per chiarire queste osservazioni basta ricordare che i silicati e soprattutto i vetri, caratterizzati come sono da strutture aperte, con angoli variabili, presentano i coefficienti di dilatazione termica α tra i più bassi, al punto che alcuni sono prossimi allo zero, come il minerale Spodumente: LiAl(SiO2)6. Nella tab.3 sono riportati i coefficienti di dilatazione termica di alcuni ceramici, confrontati con quelli dei metalli e dei polimeri.

La dilatazione termica è collegata alla vibrazione delle particelle attraverso la forza del legame chimico. Infatti i materiali con coefficiente di dilatazione più basso, presentano anche punti di fusione più elevati, perché entrambi sono espressione della forza del legame. Tuttavia va sottolineato che vi sono deviazioni a questa correlazione (qualitativa) che dipendono dal fatto che le strutture cristalline dei composti sono diverse e che alcune presentano una notevole anisotropia. Il coefficiente α è una media dei coefficienti misurati nelle diverse direzioni cristallografiche. Per l’anisotropia direzionale, per esempio, possiamo ricordare il composto ZnO che presenta valori sensibilmente diversi nelle direzioni parallela e ortogonale all’asse esagonale; per lo ZnO, α a 1000°C parallelo a c=5e-3; mentre in direzione ortogonale a c il coefficiente =8e-3.
Complessivamente i ceramici, essendo composti (ionici e covalenti) caratterizzati da legami più forti dei metalli, presentano dei coefficienti di dilatazione termica mediamente inferiori e ciò costituisce una seria difficoltà nella progettazione ingegneristica: soprattutto quando vi sia la necessità di impiegare ceramici e metalli simultaneamente. Oltre alla dilatazione termica è di notevole importanza la “conducibilità termica”, cioè il trasferimento di energia termica nel tempo attraverso una certa sezione di materiale. In generale la maggior parte dei materiali ceramici hanno basse conducibilità termiche a causa del loro forte legame iono-covalente e sono buoni isolanti termici. La seguente figura 18
confronta la conducibilità termica di diversi materiali ceramici in funzione della temperatura. Per la loro alta resistenza termica, i materiali ceramici sono utilizzati come refrattari, ossia quei materiali che resistono all’azione di ambienti molto caldi, sia liquidi che gassosi. I refrattari vengono molto utilizzati dalle industrie metallurgiche, chimiche, ceramiche e del vetro.

I ceramici si comportano in modo molto diverso dai metalli perché praticamente non hanno elettroni liberi e sono trasparenti alla radiazione elettromagnetica. La mancanza di elettroni liberi riduce la conducibilità, mentre la trasparenza favorisce il trasferimento di energia radiante specialmente a temperature elevate. A temperature relativamente basse, dove la conducibilità è prevalentemente determinata dallo spostamento dei “fononi”, cioè dalla dimensione del loro cammino libero medio, si possono raccogliere le seguenti osservazioni:
􀀹
Le fasi cristalline conducono meglio di quelle amorfe perché i fononi si muovono meglio nelle strutture ordinate;
􀀹
Poiché l’aumento della T determina una maggiore ampiezza delle oscillazioni, il percorso dei fononi ne risulta disturbato e la conducibilità diminuisce;
􀀹
Porosità e fasi disperse influiscono sul cammino libero medio dei fononi con la forma, l’anisotropia delle particelle disperse e la porosità, per cui un ceramico policristallino, polifase e poroso presenta una conducibilità inferiore alla sua fase prevalente cioè la matrice omogenea a densità teorica.
In generale, i composti caratterizzati da atomi leggeri (Be, Mg, Al), strutture semplici e compatte e purezza elevata presentano conducibilità termiche elevate. Infatti il MgAl2O4, che ha una struttura più complessa di MgO, e di Al2O3, ha una conducibilità inferiore, malgrado che la dilatazione, la capacità termica e le proprietà elastiche siano abbastanza simili. Allo stesso modo la “mullite” (3Al2O3*2SiO2) ha una conducibilità inferiore allo spinello a causa della maggiore complessità della composizione e della struttura. Nella seguente tabella si riportano alcune delle caratteristiche citate.

3. LE STRUTTURE CRISTALLINE DEI MATERIALI CERAMICI
3.1 Introduzione
Come già accennato in precedenza, i materiali ceramici possono essere suddivisi in due grandi gruppi: i ceramici tradizionali, e i ceramici avanzati.
Tipicamente i materiali ceramici tradizionali sono costituiti da tre componenti: argilla, silice e feldspato. Esempi di materiali ceramici tradizionali sono i mattoni e le tegole usati nell’industria edile e la porcellana utilizzata nell’industria elettrica. I materiali ceramici avanzati invece, sono tipicamente formati da composti puri o quasi puri quali l’ossido di alluminio (Al2O3), il carburo di silicio (SiC) e il nitruro di silicio (Si3N4). Esempi di impiego dei materiali ceramici nelle tecnologie avanzate sono il carburo di silicio utilizzato nelle zone a elevata temperatura del motore sperimentale per automobili AGT-100 a turbina a gas e l’ossido di alluminio con cui si realizza la base di supporto per microcircuiti integrati in un modulo a conduzione termica. Altre applicazioni riguardo tali materiali verranno approfondite in seguito, con le applicazioni inerenti il campo motoristico.
3.2 Le strutture cristalline
I materiali ceramici sono dei composti chimici tra un metallo e un non metallo a carattere prevalentemente ionico. Possiamo fare questa suddivisione:
􀀹
Ossidi (SiO2, Al2O3, ZrO2, MgO, BaTiO3)
􀀹
Nitruri (Si3N4)
􀀹
Carburi (B4C, WC, TiC, SiC)
􀀹
Fluoruri (CaF2)
􀀹
Ca10(PO4)6(OH)2: idrossiapatite
􀀹
Argille (Al2Si2O5(OH)4 caolino)

Nei solidi (ceramici) ionici la disposizione degli ioni è determinata principalmente dai seguenti fattori:
1.
La dimensione relativa degli ioni nel solido ionico (si assume che gli ioni siano assimilabili a sfere rigide di raggio definito);
2.
La necessità di bilanciare le cariche elettrostatiche per mantenere la neutralità elettrica dei solidi ionici.
Quando si forma il legame ionico tra gli atomi allo stato solido, le energie degli atomi diminuiscono a causa della formazione degli ioni e del legame tra loro per formare un solido ionico. I solidi ionici tendono ad assumere una disposizione dei loro ioni più compatta possibile per ridurre al minimo l’energia globale del solido. I limiti dell’ottenimento di una struttura densa sono le dimensioni relative degli ioni e la necessità di mantenere la neutralità della carica.
I solidi ionici sono costituiti da cationi e anioni. Nel legame ionico alcuni atomi perdono i loro elettroni più esterni per divenire cationi e altri acquistano elettroni esterni per diventare anioni. Dunque, i cationi sono normalmente più piccoli degli anioni con cui si legano. Il numero di anioni che circondano un catione centrale in un solido ionico viene chiamato numero di coordinazione (CN) e corrisponde al numero di atomi adiacenti che circondano un catione centrale. Per ottenere una struttura stabile, il maggior numero di atomi adiacenti che circondano un catione centrale. Per ottenere una struttura stabile, il maggior numero di anioni deve circondare il catione centrale. Tuttavia, gli anioni devono entrare in contatto con il catione centrale e deve essere mantenuta la neutralità di carica. La seguente figura mostra le configurazioni stabili per la coordinazione degli anioni attorno a un catione centrale in un solido ionico. Se gli anioni non toccano il catione centrale, la struttura diviene instabile poiché il catione centrale può “sbattere contro la sua gabbia anionica” fig.7 c. Il rapporto del raggio del catione centrale con quello degli anioni che lo circondano si chiama rapporto tra i raggi ionici . Quando gli anioni si toccano l’uno
con l’altro ed entrano in contatto con il catione centrale, il rapporto tra i raggi viene chiamato rapporto tra i raggi ionici critico (minimo). I possibili rapporti tra i raggi ionici nei solidi ionici con numeri di coordinazione di 3, 4, 6, 8 sono elencati nella fig.8, nella quale vengono anche mostrate le coordinazioni.

Per potere chiarire al meglio le strutture tipiche dei principali materiali ceramici, bisogna fare riferimento a composti più semplici come i sali NaCl, CsCl e ZnS.
Struttura cristallina del cloruro di sodio
La struttura cristallina del cloruro di sodio, è costituita da legami fortemente ionici ed è caratterizzata dalla formula chimica NaCl. Pertanto per mantenere la neutralità della carica, ha un numero uguale di ioni Na+ e Cl-. La fig.3.3 mostra una cella elementare di NaCl con le relative posizioni reticolari. Si possono notare gli anioni Cl- che occupano posizioni regolari nel reticolo atomico CFC e cationi Na+ che occupano posizioni interstiziali tra le posizioni atomiche CFC. Icentri degli ioni Na+ e Cl- occupano le seguenti posizioni reticolari, come indicato nella figura:
Na+:
Cl-: 26
Fig.3.3: struttura dell’NaCl
Poichè ogni catione centrale Na+ è circondato da sei anioni Cl-, la struttura ha una coordinazione ottaedrica (cioè CN=6), come indicato nella fig.3.4; questo tipo di coordinazione viene determinata calcolando il rapporto tra i raggi ionici . Altri composti ceramici con la struttura di NaCl sono CaO, NiO e FeO.

Struttura cristallina del cloruro di cesio
La formula chimica del cloruro di cesio è CsCl; poiché questa struttura è formata principalmente da legami ionici, il numero di ioni Cs+ e Cl- è uguale. Poiché il rapporto tra i raggi ionici per il CsCl è 0,94, il cloruro di cesio ha una coordinazione cubica (CN=8), come mostrato in fig.3.5. Pertanto otto ioni cloruro circondano un catione centrale di cesio nella posizione (1/2, 1/2, 1/2) della cella elementare di CsCl. Altri composti ionici che hanno la struttura cristallina del CsCl, sono CsBr, TiCl e TiBr. Anche i composti intermetallici AgMg, LiMg, AlNi e β-Cu-Zn hanno questa struttura. La struttura del CsCl, non è di grande importanza per i materiali ceramici, ma evidenzia come elevati rapporti tra i raggi ionici conducano a numeri di coordinazione più elevati nelle strutture cristalline ioniche.

Struttura cristallina del solfuro di zinco
La struttura del solfuro di zinco ZnS ha la cella elementare mostrata in fig.3.6, che contiene l’equivalente di quattro atomi di zinco e quattro di zolfo. Un tipo di atomo (S oppure Zn) occupa i punti del reticolo di una cella elementare CFC (Cubico Facce Centrate) e l’altro tipo (S oppure Zn), occupa la metà delle posizioni interstiziali tetraedriche della cella elementare CFC. Nella cella elementare della struttura cristallina ZnS mostrata in fig.3.6, gli atomi di zolfo occupano le posizioni degli atomi della cella elementare CFC, come indicato dai cerchi neri e gli atomi Zn occupano metà delle posizioni interstiziali tetraedriche della cella elementare CFC, come indicato dai cerchi blu.

Struttura cristallina del fluoruro di calcio
La struttura del fluoruro di calcio (fluorite) con la formula chimica CaF2, ha la cella elementare mostrata in fig.3.7. In questa cella elementare gli ioni Ca2- occupano le posizioni del reticolo CFC, mentre gli ioni F- sono nelle otto posizioni tetraedriche. Le quattro posizioni ottaedriche rimanenti nel reticolo CFC restano vacanti. Quindi ci sono quattro ioni Ca2+ e otto ioni F- in ogni cella elementare. Esempi di composti che hanno questa struttura sono UO2, BaF2, AuAl2 e PbMg2.

Struttura cristallina del corindone
Nella struttura del corindone Al2O3 gli ioni di ossigeno sono nelle posizioni reticolari di una cella elementare esagonale compatta, come mostrato in fig.3.8. Nella struttura cristallina HCP (exagonal closed packing) come nella struttura CFC, ci sono tante posizioni interstiziali ottaedriche quanti sono gli atomi nella cella elementare. Tuttavia, piochè l’alluminio ha una valenza di +3 e l’ossigeno una valenza di -2, ci possono essere solo due ioni Al3+ ogni tre ioni O2- per mantenere la neutralità elettrica. Quindi gli ioni di alluminio possono occupare solo due terzi delle posizioni ottaedriche del reticolo HCP, e questo porta a una certa distorsione della struttura.

Struttura della perovskite
Nella struttura della perovskite (CaTiO3) gli ioni Ca2+ e O2- formano una cella elementare CFC con gli ioni Ca2+ agli angoli della cella elementare e gli ioni O2- nei centri delle facce. Lo ione Ti4+, con una elevata carica, è nella posizione interstiziale ottaedrica al centro della cella elementare ed è coordinato a sei ioni O2-. Il BaTiO3 ha la struttura della perovskite sopra i 120°C, ma sotto questa temperatura la sua struttura è leggermente diversa. Altri composti con questa struttura sono SrTiO3, CaZrO3, LaAlO3, e molti altri; questa struttura è molto importante per i materiali piezoelettrici.

Struttura dello “spinello”
Molti ossidi hanno la struttura dell’ MgAl2O4, o struttura dello spinello, caratterizzata dalla formula generale AB2O4, dove A è uno ione metallico con valenza +2 e B è uno ione metallico con valenza +3. Nella struttura dello spinello gli ioni di ossigeno formano un reticolo CFC e gli ioni A e B occupano posizioni interstiziali tetraedriche e ottaedriche, a seconda del tipo particolare di spinello. Composti con la struttura dello spinello sono ampiamente impiegati per materiali magnetici non metallici per applicazioni elettroniche.

4. I MATERIALI CERAMICI TRADIZIONALI E AVANZATI
4.1 I ceramici tradizionali
I materiali ceramici tradizionali sono prodotti con tre componenti base: l’argilla, la silice e il feldspato. L’argilla è costituita principalmente da alluminosilicati idrati (Al2O3*SiO2*H2O) con piccole quantità di altri ossidi, quali TiO2, Fe2O3, MgO, CaO, Na2O e K2O. Nei materiali ceramici tradizionali, l’argilla che rappresenta il principale costituente, conferisce la lavorabilità al materiale prima che indurisca durante la cottura. La silice (SiO2), chiamata anche selce o quarzo, ha una elevata temperatura di fusione ed è il componente refrattario dei materiali ceramici tradizionali. Il feldspato di potassio, che ha una composizione di di base K2O*Al2O3*6SiO2, ha una bassa temperatura di fusione e, durante la cottura della miscela ceramica, produce una fase vetrosa che lega i componenti refrattari. I prodotti strutturali di argilla quali mattoni da costruzione, tubazioni fognarie, tegole e piastrelle sono prodotti con argilla naturale che contiene tutti i tre componenti base. Le porcellane bianche, come la porcellana per impieghi elettrici, quella per elementi sanitari, sono ottenute da materie prime di argilla, silice e feldspato di composizione controllata.
4.2 I ceramici avanzati
Nell’industria automotive i materiali ceramici fanno capo a quelli “avanzati”. Mentre i ceramici tradizionali sono composti principalmente da argilla, i ceramici avanzati sono composti “puri”, o “quasi puri” formati soprattutto da ossidi, carburi o nitruri. Alcuni dei più importanti materiali ceramici avanzati sono l’allumina (Al2O3), il nitruro di silicio (Si3N4), il carburo di silicio (SiC) e la zirconia (ZrO2) combinati con altri ossidi refrattari.
Le temperature di fusione di alcuni materiali ceramici avanzati sono elencate nel cap.1 tab.1. In seguito viene riportata una breve descrizione dei principali composti.
Allumina(Al2O3)
L’allumina è stata sviluppata originariamente per tubazioni refrattarie e crogioli di elevata purezza per impieghi ad alta temperatura e ora trova molte applicazioni. Un classico esempio di applicazione dell’allumina è il materiale isolante delle candele delle automobili; l’ossido di alluminio viene drogato con ossido di magnesio, pressato a caldo e sinterizzato per ottenere la tipica microstruttura della porcellana elettrica. Ma come è possibile notare dalla seguente fig. 15 a) e b, la maggiore uniformità della struttura di allumina, rispetto a quella della porcellana, fa si che l’Al2O3 venga utilizzato in applicazioni elettriche di alta qualità, per le quali sono richieste una bassa perdita dielettrica e un’alta resistività.

Fra tutti i materiali ceramici avanzati, il nitruro di silicio ha probabilmente la migliore combinazione delle proprietà di interesse tecnologico. Questo composto si dissocia significativamente solo a temperature superiori a 1800°C, e quindi non può essere sinterizzato direttamente. Può essere, invece, ottenuto mediante un particolare processo in cui della polvere di silicio compattata viene nitrurata in un flusso gassoso di azoto. Questo processo produce Si3N4 microporoso di moderata resistenza. Un Si3N4 non poroso di più elevata resistenza viene ottenuto mediante pressatura a caldo con l’aggiunta di 1-5% di MgO. Il nitruro di silicio è in fase di studio per l’impiego in componenti di motori avanzati.

Carburo di silicio
Il carburo di silicio è un carburo duro e refrattario con una eccellente resistenza all’ossidazione a elevata temperatura. Sebbene non sia un ossido, il SiC a temperatura elevata forma un rivestimento di SiO2 che protegge la massa interna del materiale. Il SiC può essere sinterizzato a 2100°C con l’aggiunta di 0,5-1% di B per favorire la sinterizzazione. Il SiC è comunemente usato come fibra di rinforzo per materiali compositi a matrice metallica e ceramica.
Zirconia (ZrO2)
La zirconia pura è polimorfa e si trasforma dalla struttura tetragonale a quella monoclina a circa 1170°C con una espansione volumetrica e quindi è soggetta a criccatura. Combinando la ZrO2 con il 9% di MgO e utilizzando speciali trattamenti termici, si può produrre una zirconia parzialmente stabilizzata (PSZ) che ha una alta tenacità alla frattura e ha portato a nuove applicazioni per questo materiale ceramico.

5. LA PROGETTAZIONE CON MATERIALI CERAMICI
5.1 Generalità
I materiali ceramici strutturali sono una classe di nuovi materiali che alle caratteristiche proprie dei ceramici tradizionali quali:
􀀹
resistenza alle alte temperature;
􀀹
resistenza agli agenti ambientali;
􀀹
durezza;
uniscono specifiche proprietà quali in particolare:
􀀹
buona resistenza meccanica;
􀀹
elevata resistenza alla usura;
􀀹
buona stabilità dimensionale;
A queste caratteristiche molti ceramici strutturali uniscono anche un peso specifico ridotto (generalmente compreso tra 2,5 e 3,5 g/cm3).
Si tratta essenzialmente di materiali con comportamento fragile destinati a sostituire i materiali tradizionali (specialmente i metalli) in quelle applicazioni in cui il componente e soggetto ad elevate temperature, ad elevata usura, ad elevati fenomeni di corrosione ecc.

Attualmente i materiali ceramici strutturali trovano applicazione, oltre che in elettronica, telecomunicazioni ed ottica, in vari campi della progettazione meccanica quali:
1) scambiatori di calore;
2) motori termici volumetrici;
3) turbine a gas;
4) cuscinetti a rotolamento;
5) formatura dei metalli;
6) rivestimenti;
7) biomeccanica;
8) applicazioni militari.
Nel campo degli scambiatori di calore viene sfruttata essenzialmente la capacita di tali materiali di resistere alle alte temperature e le capacita di isolamento termico (bassa conducibilità termica). Nel campo dei motori termici volumetrici fuso dei ceramici tende al miglioramento dei rendimento
e/o del consumo specifico mediante la sostituzione delle parti calde del motore con conseguente eliminazione del sistema di raffreddamento ottenendo cosi in genere miglioramenti del consumo specifico fino al 15-25% ed allo stesso tempo una semplificazione della macchina. In questo campo i ceramici sono pure vantaggiosamente utilizzati per la produzione delle giranti delle turbine di sovralimentazione sfruttando non solo la resistenza alle alte temperature ma anche il basso peso specifico che riducendo le forze di inerzia riduce anche i tempi di risposta del sistema compressore-turbina alla richiesta di potenza.
Nel campo delle turbine a gas i ceramici sono utilizzati particolarmente per la loro resistenza alle alte temperature di esercizio (T>1000 °C), per la bassa conducibilità termica nonché per la buona stabilità dimensionale. Si realizzano in questo campo coi ceramici la cassa esterna, i convogliatori di flusso gli statori, i rotori, i rigeneratori ed altre parti ancora.

Nel campo dei cuscinetti a rotolamento i ceramici strutturali hanno dimostrato una elevata resistenza all’usura ed alla fatica, incrementando le velocità raggiungibili, la resistenza alla corrosione ed una diminuzione del calore sviluppato. Con i ceramici si costruiscono cuscinetti capaci di lavorare in assenza di lubrificazione per periodi limitati ma sufficienti ad assicurare assenza di fermata della macchina in presenza di avarie del sistema di lubrificazione ecc. Tale requisito è particolarmente apprezzato nel campo navale ed ancor più in quello aeronautico e militare. Cuscinetti in materiale ceramico sono sopravvissuti in assenza di lubrificazione per un’ora in una turbina a gas a pieno carico ed alla velocità massima, mentre in altre esperienze i cuscinetti sono sopravvissuti fino alla rottura della gabbia mantenendo le sfere e le piste in ottime condizioni.
Nel campo della formatura dei metalli i ceramici strutturali sono apprezzati per l’elevata durezza, la stabilità chimica e l’elevata resistenza alla usura, proprietà che fanno dei ceramici degli ottimi strumenti per il taglio e la formatura dei metalli nei processi tecnologici. Da alcuni decenni ormai sì costruiscono utensili da taglio per tornio che consentono lavorazioni ad elevata velocità ed ora si costruiscono anche macchine per la trafilatura a caldo. In questo campo fuso dei ceramici permette di incrementare la produttività e contemporaneamente la qualità dei prodotti finiti raggiungendo risparmi notevoli: la velocità di lavorazione al taglio può crescere fino al 300% durante le operazioni di finitura, mentre i prodotti dell’estrusione riescono ad avere una tolleranza dimensionale maggiore grazie alla stabilità termica dei ceramici. La durata delle attrezzature risulta inoltre aumentata fino al 350% con conseguenti abbattimenti di costi di produzione fino al 50%.
Nel campo dei rivestimenti i materiali ceramici strutturali trovano pure larga applicazione in tutti quei casi (sabbiatori, pompe marine, trasportatori di sostanze abrasive, ecc) in cui la resistenza all’usura è la principale caratteristica richiesta al materiale. In questo campo l’uso dei ceramici consente di allungare almeno di un ordine di grandezza (da pochi mesi ad alcuni anni) la durata delle parti interessate.
Nel campo della biomeccanica l’uso dei ceramici strutturali è legato particolarmente alla realizzazione di protesi ossee e dentarie. Ossa e denti infatti sono due casi di materiali ceramici naturali la cui sostituzione migliore è, per ovvi motivi, quella che utilizza ancora

materiali ceramici. In questo campo l’uso dei vari materiali ceramici è subordinato alla eventuale tossicità per l’organismo. Si hanno cosi materiali tossici, biocompatibili e materiali che possono addirittura essere assorbiti dall’organismo.
Nel campo delle applicazioni militari i materiali ceramici sono stati recentemente utilizzati per la realizzazione del rivestimento esterno di missili particolarmente sollecitati dalla pioggia durante i voli ad alta velocità. Sono pure sfruttate le caratteristiche di resistenza e leggerezza dei ceramici nella realizzazione di scudi protettivi per elicotteri e navi.
5.2 Principali caratteristiche fisico-meccaniche
Per una corretta progettazione di componenti e strutture in materiale ceramico e necessaria una accurata conoscenza delle caratteristiche fisico-meccaniche del materiale nonché l’ausilio di un idoneo procedimento che consenta di individuare le dimensioni minime del componente che assicurino una prefissata affidabilità. Si possono in particolare distinguere due fasi della progettazione:
􀀹
scelta del materiale ceramico, eseguita in base al confronto tra proprietà caratteristiche del materiale e le specifiche esigenze e/o limitazioni di progetto;
􀀹
dimensionamento e/o verifica di resistenza del componente, ovvero determinazione della affidabilità, eseguiti tenendo conto oltre che dello stato tensionale presente nelle normali condizioni di esercizio, anche di tutti gli altri parametri che possono influenzare la probabilità di rottura del componente in progetto.

Le principali caratteristiche fisico-meccaniche dei materiali ceramici di uso più diffuso nella moderna progettazione meccanica quali nitruro di silicio, carburo di silicio, biossido di zirconio, allumino-silicato di litio e titanato di alluminio, sono riportate nella seguente tabella:

Da questa tabella si vede come in pratica esistono tre differenti forme di nitruri di silicio, contraddistinte con le sigle:
􀀹
HPSN, pressato a caldo, caratterizzato da elevata resistenza meccanica ed elevata resistenza agli shock termici;
􀀹
SSN, sinterizzato, caratterizzato da elevata resistenza si presta alla realizzazione di componenti di forma complessa;
􀀹
RBSN, a limitato ritiro da cottura, può anche esso essere usato per realizzare componenti di forma complessa ma presenta rispetto alla forma sinterizzata resistenza meccanica inferiore.
Anche per il carburo di silicio esistono tre differenti forme, quali:
􀀹
HPSC, pressato a caldo, caratterizzato da elevata resistenza meccanica mantenuta sino ad altissime temperature (1550 °C);
􀀹
SSC, sinterizzato, caratterizzato da resistenza alle alte temperature e facile realizzazione di componenti di forma complessa;
􀀹
RBSC, a ritiro limitato, con possibilità di impego simili al precedente ma con resitenza inferiore.
43
Si osserva inoltre come:
􀀹
il biossido di zirconio parzialmente stabilizzato (PSZ) è caratterizzato da elevata resistenza e tenacità nonché da bassa conducibilità termica: per questo esso trova larga applicazionc come isolante termico; inoltre, esso presenta un coefficiente di dilatazione termica simile a quello dell’acciaio (wl2 ppm/°C)e pertanto si presta particolarmente alla realizzazione di componenti di materiale acciaio-ceramica. Pure prossimo a quello dell’acciaio risulta il modulo di Young ed il coefficiente di Poisson.
􀀹
Palluminosilicato di litio (LAS) unisce ad una bassa conducibilità un bassissimo coefficiente dì dilatazione (0.5-1 ppm/°C); conseguentemente esso ha doti di ottimo isolante con elevata stabilità dimensionale.
􀀹
il titaniato di alluminio, infine, presenta proprietà di isolante termico e bassa dilatazione, simili ai LAS.
Le proprietà elencate in tab.5.1 consentono in genere di scegliere il tipo di materiale ceramico più appropriato per la particolare applicazione in progetto.

5.3 Giunzioni metallo-ceramico
Nella stragrande maggioranza dei casi i materiali ceramici sono utilizzati per la realizzazione di singoli componenti di strutture realizzate per la restante parte con materiali tradizionali (metalli). L’accoppiamento metallo-ceramico deve essere correttamente progettato tenendo in debita considerazione il problema legato alle tensioni termiche che una variazione di temperatura produce in prossimità dell’interfaccia a causa del diverso coefficiente di dilatazione termico lineare dei due materiali a contatto. Infatti, tali tensioni possono portare facilmente alla rottura dei componente ceramico allorquando le deformazioni relative sono impedite. Esistono fondamentalmente tre diversi modi di realizzare una giunzione metallo-ceramico che consente di ovviare a questi inconvenienti:
􀀹
interposizione di un layer deformabile;
􀀹
contatto diretto con limitato forzamento;
􀀹
brasatura o incollaggio;
5.3.1 Interposizione di un layer deformabile
II modo più diffuso di ovviare agli inconvenienti sopra accennati è quello di interporre tra metallo e ceramica un sottile strato di un terzo materiale relativamente deformabile. Tale layer assolve in genere a due distinti scopi:
􀀹
distribuzione del carico di contatto evitando cosi pericolose ed anomale concentrazioni di tensione
􀀹
permettere spostamenti relativi in presenza di variazioni di temperatura.
Un problema generale nella realizzazione di tali giunzioni è quello di assicurare il mantenimento di un corretto posizionamento dei due componenti collegati anche al variare della temperatura di esercizio. A tal fine il collegamento è realizzato solitamente con limitata interferenza. Per queste sono state sviluppate spesso apposite soluzioni progettuali,alcune delle quali prevedono che il corretto posizionamento sia assicurato da elementi indipendenti.
Al fine di evitare che il giunto possa allentarsi in esercizio a seguito di variazioni di temperatura è necessario utilizzare per il layer un materiale con elevato coefficiente di dilatazione termico lineare.
A titolo di esempio la figura seguente mostra il collegamento di un rotore (in materiale ceramico) ad un albero di trasmissione ed il collegamento di una pala di turbina (in materiale ceramico) al relativo rotore

5.3.2 Contatto diretto con limitato forzamento
In molte applicazioni la giunzione metallo-ceramico viene realizzata mettendo a contatto diretto i due materiali con limitato forzamento. In generale ciò è ottenuto colando il metallo attorno a componente in ceramica con procedimento appositamente sviluppato che consenta di ottenere un livello di interferenza che sia un compromesso tra la esigenza di limitare Se sollecitazioni sulla ceramica e l’esigenza di assicurare l’assenza di distacco al variare della temperatura di esercizio.
Poiché le variazioni di temperatura possono portare, a causa del diverso coefficiente di dilatazione dei materiali, a significative variazioni della interferenza, questa soluzione è generalmente adottata allorquando il componente è chiamato a lavorare a temperature non molto elevate ovvero quando il materiale ceramico presenta un coefficiente di espansione termico lineare prossimo a quello del metallo. Ciò si verifica per esempio nelle giunzioni tra allumina o biossido di zirconio parzialmente stabilizzati (rispettivamente α=10,2e-06/°C e α =7.4e-06/°C) ed acciaio (α=11e-06/°C). Nel caso di ceramici con basso coefficiente di dilatazione un sufficiente forzamento è invece sempre necessario per evitare il distacco dei due componenti al sopraggiungere di variazioni di temperatura. In molti casi il collegamento metallo-ceramico può essere realizzato mediante filettatura. Tale soluzione è consigliabile soltanto quando è possibile assicurare limitate sollecitazioni sulle filettature. Le concentrazioni di tensione sul fondo filetto infatti possono portare a facile rottura il collegamento. Per questo nella maggior parte dei casi la filettatura ha semplicemente lo scopo di assicurare il posizionamento mentre il carico viene scambiato attraverso superfici più estese, possibilmente con interposizione di un layer deformabile.

5.3.3 Brasatura e incollaggio
Per basse temperature di esercizio (T<200 °C) il collegamento metallo-ceramico può essere realizzato mediante uso di adesivi opportunamente sviluppati per lo scopo. In questi casi è necessario prevedere sempre opportuni sistemi di posizionamento, non potendo questo ultimo essere in genere demandato allo stesso adesivo per via di possibili scorrimenti ecc..
Per temperature più elevate si ricorre alla brasatura previo trattamento superficiale del componente ceramico finalizzato all’ottenimento di uno strato superficiale di materiale compatibile con materiale della brasatura (metallizzazione). In alternativa al trattamento superficiale si usano per la brasatura materiali opportunamente messi a punto contenenti sostanze che reagiscono con il materiale ceramico superficiale (metallizzazione) garantendone una buona adesione.
Nella progettazione di giunti brasati metallo-ceramico è necessario tener conto delle tensioni residue che si originano durante il raffreddamento del giunto dalla temperatura di brasatura.
Al fine di limitare tali tensioni è bene eseguire un raffreddamento lento in modo da consentire il verificarsi nel materiale interposto di benefici fenomeni di scorrimento viscoso (creep). Anche presenza di tali accorgimenti, per una accurata progettazione è sempre buona norma tener conto delle tensioni residue da brasatura.

6. LE APPLICAZIONI “AUTOMOTIVE” DEI MATERIALI CERAMICI
6.1 Introduzione
Uno dei campi in cui l’evoluzione tecnologica dei materiali fonda le proprie radici è il settore automobilistico. L’utilizzo dei materiali ceramici in questo settore inizia nel campo delle competizioni sportive, dove già da circa venti anni sono realizzate alcune parti di motore, conferendogli maggiore robustezza in un più vasto campo termico. Oggi anche alcune auto prodotte in serie ad alte prestazioni utilizzano componenti “ceramici” come alcune parti dell’impianto frenante, qualche componente di turbocompressore. Come vedremo la tecnica progettuale si sta muovendo per allargare l’orizzonte di utilizzo di questi componenti soprattutto nei motori, per via delle sempre più severe norme antinquinamento già in vigore, e che si inaspriranno a partire dal 2010.
6.2 I dispositivi frenanti
I dispositivi frenanti sono degli organi meccanici che vengono utilizzati per la dissipazione dell’energia cinetica di parti in movimento. Questi possono essere diversi a secondo del tipo di moto che devono ostacolare; quelli che noi tratteremo sono i freni che vengono utilizzati per le automobili, i treni e i mezzi di locomozione generale.
In generale i tipi di freni più comuni che possiamo incontrare sono i freni a disco (fig. 6.1) ed i freni a tamburo (fig. 6.2) che differiscono dal modo in cui viene applicato il momento frenante, che è il responsabile del rallentamento o dell’ arresto del moto.
Nel primo caso il momento frenante si ottiene accostando il ferodo (statore) al disco (rotore) tramite l’accostamento delle due parti, mentre nel secondo caso c’è un ceppo che tramite l’applicazione di una coppia si chiude sul tamburo esercitando le forze tangenziali di attrito che sono responsabili dell’ arresto della ruota in movimento. In entrambi i casi l’elemento frenante trasmette alla ruota una forza risultante, o meglio ancora una pressione, che si tradurrà in una componente tangente alla superficie della ruota che tenderà ad opporsi al moto di quest’ultima:

Dalla relazione precedente si osserva come la componente T sia quella responsabile dell’effetto frenante ed il suo valore è legato a quello di F ed al valore del coefficiente di attrito μ. L’azione frenante non è però legata solo a questi parametri, ma c’è ne sono molti altri di cui bisogna tener conto come possono essere usura, temperatura e via dicendo che molto spesso sono collegati tra loro.

L’industria odierna cerca di sostituire i materiali tradizionali impiegati per i freni con dei materiali nuovi, che riescano a soddisfare contemporaneamente due requisiti fondamentali:
􀀹
Bassa densità
􀀹
Alto coefficiente di attrito
Un materiale a bassa densità consente, a parità di volume, di avere un risparmio sul peso complessivo e quindi una diminuzione del consumo di carburante, mentre un materiale con alto coefficiente di attrito consente una frenata più energica, venendo incontro alle esigenze delle applicazioni più impegnative, come ad esempio le auto da corsa, i treni e gli aerei.
I materiali compositi sono quelli che meglio riescono a soddisfare questi requisiti, principalmente perché altamente progettabili
Anche i materiali compositi per freni vengono comunemente raggruppati in sottoclassi a seconda della matrice usata nel composito:
􀀹
Compositi Carbon-Carbon
􀀹
Compositi a Matrice Polimerica
􀀹
Compositi a Matrice Metallica
􀀹
Compositi a Matrice Ceramica
I compositi carbon-carbon, sono quelli usati nelle applicazioni più estreme come ad esempio i freni delle vetture da formula1.
I compositi a matrice polimerica vengono usati frequentemente per realizzare pastiglie e guarnizioni per freni di automobili, aerei leggeri ed elicotteri.
Storicamente, le prime fibre usate in questi compositi sono state le fibre di asbesto, che offrivano buone prestazioni ed erano relativamente economiche. In genere veniva usato il chrysotile, di formula 3MgO · 2SiO2 · 2H2O, il minerale principale del gruppo del serpentino.

A partire dalla fine degli anni Settanta, però, è diventato necessario cercare alternative all’utilizzo dell’asbesto, poiché si dimostrò il suo effetto cancerogeno.
Si sono trovate quindi due soluzioni diverse:
􀀹
compositi organici rinforzati con fibre non asbestose
􀀹
materiali semimetallici o metallici “resin bonded” (anche detti “semi-met”)
6.3 Compositi a matrice metallica MMC
Questi materiali sono costituiti da una matrice metallica rinforzata da fibre o particelle, e vengono impiegati prevalentemente nella costruzione di dischi (rotori).
La tecnologia dei materiali compositi in questo campo è fondamentale, perché consente di impiegare in applicazioni tribologiche materiali normalmente improponibili: esiste infatti un certo numero di metalli e leghe con proprietà specifiche migliori di quelle dell’acciaio, ma questi materiali in genere sono teneri, per cui usati come rotore di un freno avrebbero un’usura troppo elevata. Un materiale composito a matrice metallica, invece, possiede sia resistenza che rigidezza, grazie all’effetto rinforzante svolto dalle fibre. I materiali ottenuti comunque hanno temperature di utilizzo inferiori a quelle dei materiali ferrosi, per cui il loro campo di applicazione è quello dei materiali leggeri ma non eccessivamente refrattari. Esempi tipici sono rotori per freni di auto e motociclette sportive, e dischi per treni.

I metalli usati per le matrici di MMC sono molti, ferro, rame, alluminio, nickel, titanio, ad esempio, ma per i dispositivi frenanti, il metallo che si è imposto sugli altri è l’alluminio. Esso presenta infatti una serie di caratteristiche positive che lo rendono il materiale più adatto per queste applicazioni:
􀀹
basso costo
􀀹
alto grado di isotropia
􀀹
facilmente colabile
􀀹
buone proprietà specifiche
􀀹
proprietà termiche, fisiche e meccaniche ideali per un materiale da frizione.
Le fibre usate invece sono fibre di carbonio, di carburo di silicio, di tungsteno e di allumina. La composizione tipica di un composito con matrice metallica per freni è una lega di alluminio con il 20% in volume di carburo di silicio.

Spesso si aggiunge al fuso di alluminio anche una piccola quantità di silicio perché rende la lega più colabile.
Dalla figura seguente è possibile capire quale vantaggio si ha nell’utilizzare un materiale composito rispetto ad uno tradizionale: lo stesso componente di un freno a disco (caliper), è stato realizzato in ghisa a sinistra e in composito a destra. Il composito pesa circa la metà del pezzo in ghisa.

C’è un notevole interesse intorno a questi nuovi materiali perché il loro mercato non è ristretto solo all’ambito tribologico.

La ditta 3M ha sviluppato appositamente per compositi in alluminio un nuovo tipo di fibra, ribattezzato “Nextel 610”. Le fibre Nextel sono fibre di allumina nanocristallina ad alta purezza con le seguenti caratteristiche:

La stessa ditta si è occupata anche del processo di fabbricazione di questi compositi. Per prima cosa, tramite un’analisi agli elementi finiti (FEA) si scoprono i punti del pezzo maggiormente sollecitati, che verranno poi rinforzati: questo consente di usare la quantità di fibre strettamente necessaria per la tenuta del pezzo. Si crea poi una preforma ceramica che accoglierà le fibre solo nelle zone evidenziate dall’ FEA, ed infine si procede alla colata dell’alluminio liquido.

La colata può avvenire anche sotto pressione in atmosfera inerte, per avere una maggiore bagnabilità delle fibre di allumina nei confronti del metallo liquido.
6.3.1 Proprietà fisiche
Come detto, in un composito a matrice metallica la matrice conferisce al materiale resistenza meccanica, mentre le fibre danno al composito rigidezza. La presenza del rinforzo comunque modera o accentua alcune proprietà del composito. Vediamone alcune.
6.3.2 Espansione termica
I metalli hanno in genere un alto coefficiente di espansione termica, per cui cambi di temperatura provocano facilmente nel materiale stress termici. I compositi per freni in particolare, sono soggetti a gradienti termici durante la frenata, con conseguente formazione di punti caldi. I materiali ceramici usati come rinforzo hanno invece un espansione termica più limitata, per cui diminuiscono l’espansione complessiva del materiale. Questo effetto positivo è controbilanciato dal fatto che la differente espansione
di fibra e matrice provoca alla loro interfaccia delle tensioni che provocano deformazioni plastiche localizzate. Come risultato si hanno nel materiale dei cicli di fatica che portano alla formazione di cricche e vuoti con diminuzione delle proprietà meccaniche del materiale.
6.3.3 Conducibilità termica
Un’alta conducibilità termica in un rotore è una proprietà gradita perché agevola lo smaltimento di calore durante la frenata abbassando la temperatura del materiale. La presenza di una fase ceramica però abbassa inevitabilmente la conducibilità termica del composito. L’alluminio presenta comunque una conducibilità termica molto elevata, e poiché per frenate molto forti la temperatura del materiale è determinata principalmente dalla capacità di condurre calore, i freni in alluminio mantengono in ogni caso temperature più basse rispetto a quelli in ghisa.
6.3.4 Proprietà meccaniche
Il rinforzo ceramico aumenta il modulo di Young del composito, che in alcuni casi può diventare anche il doppio di quello del metallo monolitico. In genere l’aumento della rigidezza cresce proporzionalmente alla quantità di fibra presente nel composito. Queste buone proprietà meccaniche si manifestano ancora di più quando esaminiamo il comportamento del materiale a temperatura: l’alluminio puro infatti perde presto la sua capacità di resistere alle sollecitazioni, mentre il composito la mantiene ancora ad un livello significativo
E’ essenziale per la resistenza del composito anche un buon legame tra fibra e matrice, che eventualmente può essere rinforzato rivestendo le fibre (con boro ad esempio). Questa operazione, oltre ad aumentare il legame interfacciale, impedisce eventuali reazioni tra fibra e matrice quando il materiale viene portato a temperatura.

Sono stati fatti vari test per valutare le caratteristiche frenanti di questi materiali, accoppiandoli sia con pad organici tradizionali, sia con pad disegnati specificamente per compositi a base di alluminio.
Se si fa scorrere a bassa velocità un pad organico per ghisa contro un composito con silicio di carburo al 20%, si trova un coefficiente d’attrito inferiore rispetto alla ghisa; l’attrito sviluppato dal composito supera però quello generato da un rotore in ghisa quando usiamo velocità più elevate
Come detto l’uso di alluminio non rinforzato con un pad organico provoca un buon coefficiente d’attrito, ma l’usura del disco è troppo elevata; l’alluminio rinforzato accoppiato con pad organici dà invece buone prestazioni.
E’ stata verificata anche la possibilità di usare pad semimetallici per ghisa con rotori in composito di alluminio, ma il risultato è stato un coefficiente d’attrito non costante durante la frenata, e quindi questo accoppiamento si è dimostrato inaccettabile. L’industria ha sviluppato perciò un nuovo tipo di pad semimetallico adatto a compositi in alluminio, contenente allumina e con una bassa percentuale di ferro: questa materiale dà buone performance ed ha anche il gradito effetto di aumentare il coefficiente d’attrito aumentando la forza di frenata.
6.3.6 Rivestimenti per dischi
Per quanto i compositi in alluminio abbiano ottime proprietà tribologiche, hanno comunque una bassa temperatura di utilizzo. Per migliorare lo smaltimento di calore nei dischi si usano dei rivestimenti che possono essere isolanti o conduttori.
I rivestimenti isolanti si applicano alla superficie del disco destinata alla frizione con la pastiglia del freno. Sono costituiti da materiali ceramici, affinché la loro bassa

conducibilità termica preservi il nucleo del disco in alluminio da temperature eccessive. Lo strato ceramico tollera invece agevolmente temperature elevate e disperde il calore accumulato raffreddandosi all’aria. Un rivestimento sviluppato recentemente è a base di carburo di silicio e zirconio. Ovviamente se usiamo un rivestimento isolante le proprietà di frizione dipendono dalle caratteristiche del ceramico usato e non più dal composito in alluminio.
Al contrario dei rivestimenti isolanti, i rivestimenti conduttori cercano di distribuire uniformemente su tutta la superficie del disco il calore sviluppato durante la frenata: il calore prodotto viene poi smaltito normalmente. Un esempio di questo tipo di rivestimento è il composito rame-carburo di silicio.
6.4 Applicazioni
Il campo di applicazioni dei compositi a matrice metallica riguarda principalmente i veicoli in cui è importante un risparmio in peso di tutti i componenti, e cioè soprattutto i veicoli elettrici e le motociclette. Le ditte Honda, Suzuki e Ducati hanno sperimentato con successo questi freni nel campionato mondiale di motociclismo conseguendo ottimi risultati: le prestazioni ottenute sono infatti simili a quelle dei freni in carbonio ma alla metà del costo. I compositi in metallo sono stati usati anche nei treni ad alta velocità in Germania, consentendo un risparmio di peso notevole: mentre infatti un disco in ghisa pesa 135 Kg, uno in composito pesa solo 70 Kg, riducendo il peso complessivo del treno di circa 13 tonnellate.

6.5 Materiali compositi a matrice ceramica
I materiali ceramici avanzati hanno delle proprietà che li rendono estremamente utili in applicazioni tribologiche, come elevata durezza, resistenza a compressione, refrattarietà, inerzia chimica, bassa densità. Sono però materiali fragili, e per essere usati in applicazioni strutturali devono essere necessariamente rinforzati con fibre.
Il costo finale di questi materiali è alto perché i trattamenti termici per la loro fabbricazione richiedono alte temperature. Anche i rinforzi usati ovviamente devono resistere ad alte temperature, per cui anche essi devono essere di natura ceramica come allumina, carburo di silicio e nitruro di silicio. Tutti questi impedimenti fanno si che i compositi ceramici siano ancora in fase di studio, e per questo motivo sono stati pubblicati ancora pochi dati al loro riguardo.
Al momento, l’industria che spinge più per la produzione di freni ceramici è l’industria ferroviaria, che vede un loro eventuale utilizzo nei treni ad alta velocità.
Buoni risultati ha dato a tal proposito un materiale ceramico rinforzato con fibre di carbonio (CFRC). I compositi ceramici normali non hanno infatti i requisiti di bassa usura e attrito costante necessari per applicazioni tribologiche, mentre i CFRC abbinati ad un pad ceramico hanno dimostrato di mantenere le loro proprietà meccaniche fino a 1300° C, presentando al contempo un bassissimo creep ed una bassa espansione termica. Questi materiali si rivelano quindi molti interessanti per gli sviluppi futuri della ricerca.
6.5.1 Compositi ceramico-metallici CMC
Ultimamente i ricercatori si sono serviti di materiali ceramici per realizzare dei compositi ibridi, contenenti contemporaneamente una fase ceramica e una metallica. Questi materiali vengono realizzati in modi diversi, ed al momento sembrano avere buone prospettive.
Uno di questi materiali usa come ceramico di partenza polveri di TiO2 e di almeno un materiale contenente boro o carbonio. Queste polveri, legate da un legante organico, formano un green destinato a trattamento termico ad una temperatura tra 900° C e 1900° C: durante questa fase, delle reazioni di scambio tra il materiale e il TiO2 portano alla

creazione di composti tipo TiBx e TiCx. A questo punto il green presenta una notevole porosità, per questo lo si pone in un bagno di polveri di alluminio che viene portato ad una temperatura superiore ai 1000° C: l’alluminio fonde e viene assorbito dal corpo ceramico. In queste fasi avvengono reazioni tra l’alluminio e la fase ceramica che si possono schematizzare con una formula del tipo:
4Al + Ti2O3 2 AlTi + Al2O3
La fase metallica reagisce anche con la parte ceramica del green, generando un composito ceramico-metallico che contiene nella fase ceramica composti appartenenti al gruppo TiBx , TiCx , Al2O3 , e nella fase metallica un composto intermetallico di titanio e alluminio. La particolare struttura di questo materiale lo rende adatto ad applicazione tribologiche perché la fase ceramica consente un innalzamento della temperatura di utilizzo.
Altri brevetti che riguardano compositi ceramico-metallici usano questi materiali non per costruire parti strutturali di un componente di freno, ma per realizzare elementi da aggiungere nella sola zona di frizione.
Uno di questi brevetti propone un componente di freno con una percentuale di composito ceramico-metallico non inferiore al 5%, in cui il CMC ha una fase ceramica cristallina interconnessa, mentre la fase metallica è dispersa nella fase ceramica. La percentuale di fase ceramica nel CMC varia nel range 85-98 % in volume, mentre le inclusioni metalliche hanno dimensioni medie tra 0,25 e 30 micron, e nel complesso non rappresentano più del 15% del peso del materiale.
Questo composito, se usato come materiale di frizione, presenta elevata durezza e un coefficiente d’attrito stabile ed elevato. La fase metallica può essere costituita da magnesio, titanio, vanadio, cromo, ma il metallo consigliato è l’alluminio con le sue leghe. La fase ceramica è costituita invece da boruri, carburi, ossidi, nitruri e loro combinazioni: il ceramico consigliato è il carburo di boro. I metodi per produrre questo materiale sono due:
􀀹
infiltrazione di metallo liquido in un ceramico poroso

densificazione di un green contenente particelle metalliche e ceramiche.
Il processo di infiltrazione deve avvenire ad una temperatura in cui il metallo è fuso, ma non può essere troppo elevata perché il metallo potrebbe volatilizzarsi con eccessiva facilità. La temperatura consigliata è tra 900° C e 1100° C.
La densificazione può avvenire con uno dei meccanismi di sinterizzazione noti (sottovuoto, hot pressed, isostatica), la temperatura da usare è almeno il 75 % della temperatura di fusione del metallo, ma come sopra non può essere eccessiva per evitare volatilizzazione del metallo.
Un altro brevetto sempre degli stessi ricercatori propone un CMC come materiale da frizione da porre sotto forma di lamina su un substrato metallico.
In questo CMC la fase ceramica costituisce almeno il 20 % del volume totale del composito e contiene i prodotti della reazione tra la fase ceramica iniziale e la fase metallica. I materiali usati sono quelli del composito precedente, ma differenza di questo ora le due fasi devono essere disperse una nell’altra. Il substrato metallico è invece un qualunque metallo convenzionale. Il materiale da frizione è laminato su una porzione del substrato che va dal 10 % al 100 % della superficie totale del substrato. Lo spessore della lamina varia da 1 mm a 10 mm, e viene fatta aderire al substrato tramite saldatura, bullonatura o tramite un collante organico (resine fenoliche, epossidiche etc.).
Compositi alluminio-ceramici vengono usati anche per produrre i back plate, cioè quelle parti delle pastiglie destinate a sorreggere il materiale di frizione.
Nella figura seguente vediamo come è fatto un back plate. Esso è costituito in genere da una tavoletta di alluminio o in composito su cui si incolla il materiale di frizione.

Il processo di produzione comporta, similmente ai casi precedenti, l’infiltrazione di alluminio fuso nel ceramico; prima di questa fase però, il componente ceramico a base di ossidi viene trattato con nitruro di magnesio per aumentare la sua bagnabilità da parte dell’alluminio fuso. Il materiale ottenuto viene estruso con un rapporto di estrusione variabile tra 10 e 100, che viene scelto a seconda delle esigenze: un rapporto basso infatti consente al materiale di conservare una resistenza meccanica costante, ma d’altra parte un rapporto di estrusione alto consente una maggiore produttività. Il valore di 100 non può essere superato perché in questo caso la forza richiesta per l’estrusione sarebbe troppo elevata, e quindi sarebbe necessario un equipaggiamento apposito.

La barra estrusa viene poi fatta passare sotto un punzone che fornisce il back plate. Per facilitare la punzonatura la barra viene rivestita precedentemente con un sottile strato di lega di alluminio (non inferiore a 0,2 mm) perché l’alluminio pure offre al punzone minore attrito rispetto al composito, che è un materiale da frizione, e quindi consente una minore usura dello stampo (v. figura).

6.6 I CONVERTITORI CATALITICI E I FILTRI ANTIPARTICOLATO
Il progressivo inseverimento delle normative ambientali costituisce una formidabile spinta alla costante evoluzione delle tecnologie e dei sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti prodotte dagli autoveicoli.
L’Europa, dopo aver inseguito gli Stati Uniti nell’applicazione diffusa dei catalizzatori trivalenti per i motori a benzina, ha assunto la leadership nel post-trattamento delle emissioni dei motori Diesel automobilistici, qui largamente più diffusi che in ogni altro mercato.
I costruttori ed i centri di ricerca europei, in collaborazione con i fornitori di materiali e di componenti, pur con l’arduo ma scontato vincolo della sostenibilità economica, hanno ottenuto risultati di rilievo nell’abbattimento degli idrocarburi incombusti (HC) e del monossido di carbonio (CO) prodotti dai motori Diesel, tanto da ridurre tali emissioni di oltre l’80% rispetto a quelle di soli 10 anni fa.
Oggi, grazie all’utilizzo di sistemi evoluti per l’iniezione diretta del carburante, la gestione ottimale delle valvole ed il controllo motore, nonché alla disponibilità di combustibili a basso tenore di zolfo e di nuovi materiali ad alte prestazioni per la catalisi e la filtrazione, sono in sviluppo sistemi di
post-trattamento innovativi, capaci di garantire l’abbattimento di oltre il 95% del particolato (PM) emesso dai motori Diesel.
In Italia, le ricerche in questo senso sono state effettuate dal Centro di Ricerche Fiat (CRF). L’innovazione nel campo dei componenti per il post-trattamento delle emissioni dei motori è originata dal costante sviluppo di materiali innovativi per supporti (ceramici e metallici) e di rivestimenti catalitici sempre più efficienti.
La spinta fondamentale allo sviluppo di materiali innovativi è stata fornita, negli ultimi anni, dall’avvento della tecnologia dei filtri per il particolato (DPF -wall-flow Diesel Particulate Filter), divenuta in un breve lasso di tempo strategica per tutte le maggiori case automobilistiche.
Il motore Diesel possiede un rendimento termico maggiore di quello dei motori a combustione interna ma produce, in città, più dell’80% delle polveri di taglia inferiore ai 2

μm. Il particolato del diesel consta principalmente di materiali carboniosi (soot), generati dalla combustione, sui quali vengono adsorbiti alcuni composti organici.
Il grosso del particolato risulta dalla combustione incompleta degli idrocarburi del gasolio, e dall’olio lubrificante.
Il processo di formazione e sviluppo del particolato ha luogo all’interno del cilindro durante tutta la fase di combustione, mentre il solo processo di sviluppo continua anche durante la fase di espansione e di scarico.
A temperature superiori ai 500°C, le singole particelle sono principalmente costituite da grappoli di numerose piccole sfere di carbonio, con una piccola parte di idrogeno (formula bruta C8 H13), il cui diametro va da 15 a 30nm.
Quando la temperatura scende al di sotto dei 500°C, nelle fasi più avanzate dell’espansione e durante la fase di scarico, le particelle si rivestono assorbendo composti organici ad alto peso molecolare che includono: idrocarburi incombusti, idrocarburi ossigenati (chetoni, esteri, acidi organici) e idrocarburi poliaromatici (PAH). Il materiale condensato include anche specie inorganiche come biossido di zolfo, biossido di azoto, e acido solforico (solfati).
Le dimensioni del particolato allo scarico variano tra 100 e 200nm circa (0,1 e 0,2μm), ma possono anche essere inferiori.

In precedenza, la panoramica dei materiali utilizzati per il supporto dei catalizzatori a 3 vie (motori a benzina) o ossidanti (Diesel) era ridotta a due sole tipologie: supporti ceramici in cordierite e supporti metallici in leghe Fe-Cr-Al o simili.
Gli obiettivi fondamentali dell’applicazione di tali materiali sono dunque:
􀀹
il pieno conseguimento di adeguate prestazioni funzionali e affidabilistiche;
􀀹
la riduzione del costo del componente dovuta al materiale stesso (materie prime, processistica).
CRF mantiene, attraverso una continua attività di scouting una visione completa del panorama tecnologico in questo settore, completata da test condotti internamente sulle soluzioni ritenute più promettenti.
In particolare, onde perseguire gli obiettivi sopra citati, sono attualmente in fase di valutazione una serie di soluzioni alternative ai filtri di tipo “wall flow”, che possono essere suddivise nelle seguenti due famiglie:

1. Filtri in schiuma ceramica:
Le schiume ceramiche sono una classe specifica di materiale poroso che consiste in arrangiamenti tridimensionali di cellule poliedriche con dimensioni lineari medie che vanno dai 10 μm ai 7 mm.

La morfologia di questi materiali dipende comunque da diversi fattori, compresi i processi di fabbricazione. In accordo con Gibson e Asbhy, si può propriamente parlare di schiume quando la densità relativa del materiale è minore o uguale a 0.3, mentre per densità più elevate si potrebbe classificarle come generico materiale macroporoso.
Le cellule possono essere circondate da mura ceramiche (orientate in maniera random nello spazio) o il solido può essere contenuto solo in spigoli cellulari (che chiameremo struts). Se presenti nelle mura cellulari, i pori (finestre cellulari) creano una struttura interconnessa (schiume a celle aperte).
Le schiume sono quindi suddivise in due categorie a seconda se i pori sono chiusi o aperti.

Ad oggi, le schiume ceramiche più comuni dal punto di vista commerciale contengono alluminia, mullite, zirconia, carburi di silicio e silice.
A seconda della loro natura e struttura, le applicazione tipiche delle schiume sono la filtrazione (metalli fusi, particelle da gas esausti), bruciatori radiali, attrezzature biomediche, accessori per forni, rinforzi per compositi a matrice metallica, bioreattori, sistemi di protezione termica.

Le schiume ceramiche possono essere utilizzate in un largo campo di applicazioni poiché posseggono una combinazione unica di proprietà come ad esempio bassa densità, bassa conducibilità termica, bassa costante dielettrica, bassa massa termica, alta resistenza specifica, alta permeabilità, alta resistenza agli shocks termici, alta porosità, alta area superficiale specifica, alta resistenza alla corrosione chimica.
Il CRF (Centro Ricerche Fiat) ha maturato negli ultimi anni un completo know-how nel campo delle schiume ceramiche, concretizzatosi in una serie di brevetti sul processo produttivo delle stesse e sul loro impiego come supporto per DPF. Filtri per particolato basati su pannelli in schiuma ceramica sono stati ad esempio sviluppati e prodotti fino ad ottenere un dimostratore “fullscale” nell’ambito del progetto europeo CATATRAP. Le schiume ceramiche presentano vantaggi potenziali per quanto riguarda la notevole capacità di accumulo del particolato e l’area specifica disponibile nel caso di dispositivi catalizzati.

2. Filtri a pannello:
L’azione filtrante verso il particolato è affidata in questo caso a fogli di materiale fibroso; le fibre che li costituiscono possono essere di tipo ceramico o metallico. Tali fibre sono normalmente assemblate in forma corrugata, per ottenere la massima area filtrante possibile.
La relativa facilità di realizzazione e la natura del materiale filtrante rendono questi filtri molto competitivi dal punto di vista economico. D’altra parte l’area filtrante è di solito il limite principale di tali filtri: essa è infatti minore di quella garantita da un tradizionale dispositivo “wall flow”.
L’impiego di tali soluzioni alternative richiede ovviamente uno sforzo superiore, in termini di capacità di innovazione e di sensibilità alle problematiche da affrontare. In quest’ottica, vengono concepite e sviluppate, internamente o in collaborazione con ditte esterne, idee innovative mirate alle necessita espresse dai Settori.

6.6.1 Filtri monolitici ceramici con struttura a nido d’ ape (wall-flow ceramic honeycomb )
Questo filtro è realizzato mediante tecniche di estrusione, in cordierite, un materiale ceramico poroso di formula 2MgO·2Al2O3·5SiO2.
Esso è realizzato generalmente in forma cilindrica e si presenta con una struttura simile a quella di un nido d’ape, da cui il nome, caratterizzata da numerosi canali paralleli di sezione quadrata in numero variabile da 15 a 30 per cm². Le pareti di separazione di tali canali hanno uno spessore di circa 0,3÷0,4 mm e una porosità di dimensioni medie comprese tra 12 e 35 μm. I canali inoltre si presentano alternativamente aperti e chiusi rispetto al flusso dei gas. Per questa ragione questa tipologia di trappola è anche detta “wall-flow”, cioè letteralmente flusso attraverso parete.

L’effetto filtrante, di efficienza molto elevata ed anche superiore al 90%, è ottenuto costringendo i gas ad attraversare le pareti porose di suddivisione tra i canali ed è, come appare evidente, strettamente dipendente dalle dimensioni medie dei pori, dalla porosità medesima, nonchè dallo spessore delle suddette pareti di separazione tra i canali.
Poichè la dimensione media del particolato è circa 0.1 μm, e cioè di più di un ordine di grandezza inferiore alla dimensione dei pori, l’arresto delle particelle sembra non essere dovuta ad una azione di filtraggio meccanica quanto piuttosto ad un processo di diffusione. Ciò vale anche per gli altri filtri in materiali ceramici di seguito descritti.
Oltre all’elevata efficienza filtrante questa trappola possiede altre proprietà che ne giustificano la larga diffusione. Tra queste un coefficiente di dilatazione termica bassissimo (prossimo a zero) e una elevata resistenza meccanica alle alte temperature (presenta una temperatura di rammollimento prossima a 1400 °C ).
Nella scelta di un filtro di questo tipo può essere utile tenere presente che un aumento del diametro ossia dell’area frontale ha una notevole influenza nel ridurre la pressione a monte della trappola. Se si ha spazio disponibile nel veicolo un incremento del 10% del diametro può ridurre la pressione a monte del 32%. Inoltre un filtro con un diametro grande rispetto alla lunghezza riscontra una caduta di pressione tra monte e valle inferiore rispetto ad un filtro lungo di piccolo diametro.
6.6.2 Filtri di mullite corrugata (mullite corrugation)
Una variante del filtro ceramico a nido d’ape di cordierite è ottenuto utilizzando la mullite. La mullite è un materiale ceramico appartenente al gruppo degli alluminosilicati (3Al2O3·2SiO2). Il punto di fusione della mullite è 1850°C, e risulta più elevato di quello della cordierite, però presenta rispetto a questa un coefficiente di dilatazione termica più grande. Ciononostante filtri di questo materiale mostrano una maggiore resistenza agli stress termici a causa della particolare struttura porosa della mullite.
La tabella seguente mostra le proprietà termiche della cordierite, della mullite e di altri materiali ceramici:

La mullite ha una porosità dell’ 80 percento. Generalmente una porosità elevata causa una diminuzione della contropressione, ma anche dell’efficienza di filtrazione.
Tuttavia nei filtri di mullite si riscontra un’efficienza del 75 % e più. Il diametro medio dei pori è di circa 3 μm. L’elevata efficienza deve attribuirsi alla caratteristica struttura delle fibre particolarmente intrecciate. Le fibre ceramiche sono organizzate in piani costituiti da un impasto ceramico semiliquido e argilla, pertanto in ciascun piano le fibre ceramiche sono affiancate casualmente costituendo un intreccio simile ad un tessuto.
La struttura a nido d’ape è ottenuta incollando un foglio di mullite liscia ad un foglio corrugato con un opportuno legante a base di allumina e silice in modo da ottenere uno strato di canali che viene poi arrotolato per ottenere la forma desiderata (generalmente cilindrica). Lo spessore massimo dei fogli è di 1 mm. I canali sono otturati, quindi, alternativamente da un lato o dall’altro similmente a quanto si fa con il monolite di cordierite. Pertanto anche questa trappola è del tipo wall-flow.

6.6.3 Modellazione dei filtri per particolato
La complessità crescente dei sistemi di post-trattamento dei gas di scarico, imposta dalle sempre più severe normative europee, ha imposto l’adozione di metodologie di gestione e controllo dei dispositivi stessi estremamente raffinate, in stretta correlazione col funzionamento del motore stesso.
L’esempio più emblematico è rappresentato dalla trappola di particolato (DPF): essa necessita, quando é satura di particolato, di essere rigenerata termicamente agendo sulla combustione ed in particolare sul sistema di iniezione common-rail del motore.
Tale fase di rigenerazione è onerosa dal punto di vista dei consumi e pertanto, deve essere ridotta al minimo in termini di frequenza e durata; d’altra parte, quando necessaria, la rigenerazione deve essere tempestivamente eseguita, pena il possibile danneggiamento del filtro.
Il controllo del dispositivo è in primo luogo effettuato tramite un sensore di pressione differenziale, posto a cavallo del filtro che, tuttavia, non indica direttamente la quantità di particolato presente nel filtro.
Sono dunque diventati necessari la definizione e l’impiego di un algoritmo (statistico o fisico) in grado di valutare l’effettiva quantità di particolato accumulato al fine di gestire al meglio le rigenerazioni del filtro DPF. L’approccio statistico di valutazione prevede di integrare, durante il funzionamento del motore i contributi istantanei al carico del filtro in base alla fumosità media del motore rilevata sperimentalmente nelle varie condizioni di funzionamento, stazionarie e transitorie.
La difficoltà risiede ovviamente nel calibrare in modo affidabile le mappe di fumosità richieste da questo approccio; non si ha comunque la possibilità di correlare il dato di accumulo operativo reale.
Più accurato è un modello basato su una descrizione fisica del funzionamento del DPF: il CRF ha sviluppato e brevettato un algoritmo di controllo di questo tipo, basato sul semplice utilizzo del segnale di caduta di pressione per la valutazione della quantità di particolato realmente accumulata nel filtro.

In primo luogo, mediante studi fluidodinamici, sono stati valutati gli effetti di variazione della caduta di pressione legati alla portata, la temperatura e la composizione dei gas di scarico, oltre a quelli imputabili al reale accumulo di particolato nel filtro.
Le modalità stesse di tale accumulo (filtrazione di profondità e/o di superficie) sono state identificate e descritte.
E’ stato quindi implementato nel modello di accumulo l’effetto delle possibili disomogeneità di distribuzione del particolato filtrato in direzione radiale (tra canali differenti) e assiale (tra ingresso e uscita dello stesso canale). Infine, sono stati valutati gli effetti legati alle variazioni di densità dello strato di particolato filtrato.
Il modello sviluppato in CRF comprende tutti questi effetti fisici: ovviamente per consentirne l’efficace implementazione in centralina motore, il modello è stata semplificato, fino ad ottenere un algoritmo contenente un numero limitato di parametri da calibrare tramite prove specifiche in cella motore.
La capacità previsionale ottenuta è soddisfacente: in figura è mostrato un esempio reale dell’efficacia del modello fisico CRF.

CRF e dati sperimentali
L’applicazione finale prevede lo sfruttamento sinergico dei due approcci modellistici: in tal modo, è inoltre possibile la valutazione del residuo di particolato lasciato nel filtro da una rigenerazione incompleta, nonché l’ossidazione del particolato a regimi motore elevati dovuta all’azione degli
ossidi di azoto (rigenerazione spontanea). La presenza contemporanea dei due modelli garantisce infine la massima affidabilità del sistema, anche nel caso di avaria del sensore di caduta di pressione.

6.6.4 La caratterizzazione funzionale di materiali e componenti
Le continue evoluzioni delle normative sulle emissioni ridotte dagli autoveicoli ed i continui progressi tecnologici dei propulsori rendono sempre più importanti le prestazioni richieste ai sistemi di post-trattamento. Lo studio, lo sviluppo e la validazione di sistemi innovativi sono indispensabili per poter rispondere rapidamente alle esigenze di mercato.
L’esperienza maturata nel corso degli anni dal Centro Ricerche Fiat nell’ambito dei sistemi di post-trattamento ha consentito lo sviluppo di metodologie di studio, caratterizzazione e validazione dei supporti e dei catalizzatori.
Tali metodologie devono essere forzatamente rapide e flessibili, per interagire in tempo reale con il costante sviluppo di nuove soluzioni e validare i prodotti già pronti per l’industrializzazione su vettura. La caratterizzazione CRF dei sistemi di post-trattamento prevede prove di laboratorio, prove in cella motore, a banco rulli e infine test di validazione su strada.
Le tecniche di caratterizzazione di laboratorio adottate in CRF comprendono in primo luogo tecniche classiche, come la misurazione dell’area superficiale con metodo BET (adsorbimento di azoto), la porosimetria ad intrusione di mercurio, l’analisi chimica e strutturale tramite microscopia ottica ed elettronica (SEM + EDAX), la diffrattometria a raggi X (XRD). Di pari passo sono state progettate e messe a punto apposite attrezzature per il testing e la validazione di sistemi di post-trattamento.
Tali attrezzature consentono di caratterizzare su prototipi in scala ridotta svariati tipologie di materiali filtranti (wall flow, schiume ceramiche e filtri a pannello), catalizzatori innovativi (per applicazioni CNG o per articolato Diesel) e trappole NOx.
Il sistema TPF (Testing apparatus for Particulate Filters) consente ad esempio di simulare i fenomeni di intasamento dei materiali filtranti valutandone la permeabilità e l’efficienza di filtrazione, grazie ad un rapido sistema di caricamento dei campioni con particolato sintetico.

E’ inoltre importante che i sistemi di post-trattamento in sviluppo possano mantenere elevati livelli di efficienza di abbattimento lungo tutta la vita del veicolo. A tale scopo sono stati progettati specifici cicli di invecchiamento (chimico, termico e/o idrotermico) in grado di simulare in tempi accelerati la degradazione termica, chimica o strutturale subita dai sistemi di post trattamento dall’inizio alla fine della vita di un autoveicolo.
Dopo la fase di screening e di valutazione in laboratorio prima descritta, ogni sistema di post-trattamento innovativo viene quindi provato nelle numerose celle di prova motore di cui il CRF è dotato, secondo precise metodologie di caratterizzazione e integrazione ormai consolidate: in questa fase viene pertanto eseguito, su prototipi ‘full-scale’, quel complesso lavoro di ottimizzazione dei sistemi catalitici e di filtrazione, di sviluppo delle logiche di gestione e controllo, nonché di integrazione a livello hardware e software con il sistema motore, necessario prima di arrivare alle definitive prove su vettura in vista dell’omologazione.

Da qualche anno i laboratori CRF si sono dotati di un apparato di caratterizzazione non-distruttiva davvero all’avanguardia, la Tomografia Computerizzata Industriale (CT).
Attraverso la CT è stato possibile verificare, senza dover eliminare l’incanestramento metallico e sezionare in modo distruttivo il componente, ogni caso di sospetto malfunzionamento di filtri ceramici per particolato, a seguito di prove in cella o su vettura: questo tipo di caratterizzazione ha consentito di rilevare anche cricche molto piccole che possono generarsi durante una rigenerazione incontrollata (microcricche) del filtro,e che possono comportare il danneggiamento del filtro stesso.

6.6.5 L’integrazione su veicolo e la gestione dei sistemi posttrattamento
L’industria europea dei propulsori Diesel rappresenta, con il suo indotto, un settore vitale della nostra economia, con oltre due milioni di impiegati e un fatturato annuo superiore a 400 miliardi di euro.
La capacità di soddisfare i prossimi limiti di emissioni (EuroIV nel 2005 e EuroV nel 2010 e Euro VI nel 2015) è pertanto strategica e richiede lo sviluppo e l’integrazione di un complesso insieme di tecnologie e conoscenze necessarie per l’impiego di dispositivi di post-trattamento avanzati, come ad esempio i filtri per il particolato Diesel (DPF).
Tale dispositivo, infatti, richiede la scelta e l’impiego di materiali e di sistemi catalitici dedicati che devono essere strettamente coordinati con le strategie di gestione e controllo del motore, in ogni possibile condizione operativa; sono quindi necessarie competenze e sistemistiche, per la progettazione della linea di scarico integrante il DPF, e la sensoristica necessaria al controllo dello stesso.
Questo approccio è, per certi versi, simile a quelle che fu necessario per l’introduzione su larga scala dei catalizzatori a 3 vie per i propulsori a benzina, la cui applicazione richiese l’adozione del sensore lambda (rapporto aria/combustibile), nonché la capacità di controllare tale valore entro limiti ben precisi, intervenendo sulla calibrazione del motore.
Nei paragrafi che seguono, verranno elencati i principali passi della procedura di progettazione ed applicazione di una trappola per il particolato.
Il filtro per il particolato è un dispositivo soggetto a condizioni di impiego estremamente severe, in termini di temperature operative e di sollecitazioni termomeccaniche che il materiale filtrante deve sostenere. Il secondo aspetto fondamentale è, ovviamente, quello funzionale: in quanto dispositivo filtrante, il DPF deve essere dotato di una porosità adeguata a trattenere le particelle carboniose con un’efficienza estremamente elevata.
La porosità del filtro è direttamente proporzionale alla sua permeabilità e viene tipicamente maggiorata se il materiale filtrante è destinato ad essere rivestito con un washcoat catalitico: l’applicazione di un rivestimento catalitico sulla trappola particolato garantisce notevoli vantaggi in termini di dinamica del processo di combustione del particolato, oltre a garantire l’abbattimento dei gas inquinanti residui.

La permeabilità stessa è, assieme all’area filtrante disponibile, inversamente proporzionale alla contropressione generata dal filtro particolato. Tale livello di contropressione deve evidentemente essere minimizzato a filtro pulito, e raggiungere, allorché il filtro arriva al massimo livello previsto di accumulo di particolato, un valore comunque compatibile con il corretto funzionamento del propulsore.

La contropressione definisce quindi, in prima battuta, la dimensione del DPF da selezionare: nel caso dei filtri di tipo honeycomb ‘wall-flow’, l’area filtrante è direttamente proporzionale al volume del dispositivo.
Un maggiore volume risulta quindi vantaggioso in termini di contropressione, ma garantisce altresì una maggiore capacità di stoccaggio del particolato filtrato, nonché delle ceneri incombustibili derivanti dalla combustione del medesimo. Infatti, l’accumulo di tali residui diminuisce di fatto il volume del dispositivo, aumentando progressivamente il valore di contropressione del filtro pulito, costituendo così l’effettiva causa della fine vita del DPF.
Nella metodologia CRF di analisi e selezione di materiali innovativi per l’applicazione DPF, è fondamentale l’impiego sinergico di competenze tecnologiche e motoristiche: l’esecuzione di test preliminari di laboratorio materiali e catalizzatori affianca e integra le prove sperimentali su componenti ‘full-scale’ in cella motore.
Il DPF è, in sostanza, un dispositivo filtrante, soggetto ad un progressivo intasamento da parte del materiale carbonioso filtrato. E’ pertanto necessario, periodicamente, procedere

alla rimozione del particolato accumulato, tramite l’ossidazione termica dello stesso: tale processo è comunemente definito rigenerazione, e necessita di elevate temperature (oltre 600°C). La rigenerazione può avvenire con differenti tecniche tese a raggiungere tali temperature; il sistema più diffuso prevede l’uso di iniezioni ritardate di carburante, per fornire una quantità di idrocarburi incombusti al DPF.
La combustione catalitica di tali idrocarburi garantisce infatti il raggiungimento delle temperature necessarie alla sua rigenerazione. La strategia di gestione del DPF deve attivare la fase di rigenerazione allorché risulti necessario: la frequenza di tale evento deve essere la più bassa possibile, per ridurre al minimo l’aumento di consumo carburante correlato.
D’altro canto, un eccesso di particolato in combustione nella trappola può portare a temperature eccessive, ed alla possibile distruzione del dispositivo.
La mancanza di una misura diretta della quantità di articolato accumulata comporta l’impiego di misure indirette. La grandezza più significativa in tal senso è la caduta di pressione a cavallo del DPF, misurata tramite un sensore differenziale; il valore derivante viene utilizzato, assieme ad altri parametri (flusso di gas, temperatura,..) in uno specifico algoritmo in grado di valutare l’effettiva quantità di particolato filtrato. L’algoritmo, normalmente denominato modello fisico, è tipicamente basato su di un modello fluidodinamico del dispositivo filtrante, e richiede un processo complesso di messa a punto e calibrazione, per diventare del tutto affidabile.
Come accennato, l’utilizzo di una trappola per particolato impone la pressoché completa revisione degli algoritmi implementati in centralina motore. Innanzitutto, è richiesta di fatto una distinzione tra due modalità di controllo motore distinte:
normale funzionamento:
il sistema controllo motore tramite la centralina ha il completo controllo e la responsabilità del corretto funzionamento del propulsore. L’applicazione del DPF consente di ottimizzare le calibrazioni motore in termini di trade-off particolato/NOx, minimizzando le emissioni di ossidi di azoto eventualmente a scapito di quelle di particolato (comunque abbattute dal DPF). E’ poi necessario implementare nel software dell’ECU, l’algoritmo di controllo del

DPF stesso: questo implica l’acquisizione dei segnali provenienti dai sensori di caduta di pressione e di temperatura, nonché la traduzione del modello fisico in un software compatibile con la centralina motore. Infine, deve essere progettato l’algoritmo decisionale relativo al passaggio tra la modalità di funzionamento normale e quella di rigenerazione.
Rigenerazione DPF:
tale modalità è evidentemente necessaria per riportare il DPF alla massima efficienza. Essa consiste nella completa ricalibrazione della combustione e quindi del controllo motore sia per quanto riguarda l’iniezione del combustibile (pressione di iniezione, treno di iniezioni e quantità iniettata), sia per quanto riguarda il controllo del comburente (portata aria, pressione di sovralimentazione, EGR) al fine di garantire l’innalzamento della temperatura dei gas di scarico in ingresso al DPF. Grazie a tale procedura, il particolato accumulato può essere ossidato ed eliminato, ripristinando così la funzionalità del dispositivo. Il sensore di caduta di pressione funziona, in questo caso, anche per la diagnostica del DPF: il non raggiungimento, in seguito a rigenerazione, del livello di caduta di pressione tipico del dispositivo pulito, indica l’insuccesso della procedura, o, in caso di chilometraggi elevati, l’intasamento irreversibile del filtro da parte delle ceneri incombustibili.
Il sistema motore – impianto di scarico con DPF – per essere efficacemente montato su di un veicolo, necessita di una adeguata progettazione del layout su vettura: i volumi in gioco per il dispositivo sono in fatti non trascurabili, considerando i ridotti spazi tipicamente disponibili nel vano motore e nel sottoscocca.
Le calibrazioni ottimizzate in cella motore necessitano di un lavoro di rifinitura significativo; è ad esempio necessario rendere completamente trasparente all’utente il passaggio tra le modalità di funzionamento motore: ad esempio la variazione di tipo di combustione non deve essere percepita dall’utente in termini di coppia motrice o rumorosità. La validazione finale del sistema ottimizzato richiede test di lunga percorrenza su flotte di veicoli, al fine di verificare la funzionalità e l’affidabilità del sistema stesso in ogni condizione d’uso. E’ infatti da ricordare come l’applicazione del DPF sia “engine critical”: un malfunzionamento della strategia di gestione della trappola può comportare un suo intasamento irreversibile, con derivante impossibilità di funzionamento del propulsore.

6.7 TURBINE PER SOVRALIMENTAZIONE DEI MOTORI A COMBUSTIONE INTERNA
Lo scopo della sovralimentazione nei motori a combustione interna è quello di ottenere una maggiore potenza a parità di cilindrata.
La sovralimentazione può essere effettuata in due modi:
􀀹
mettendo a disposizione del motore un compressore volumetrico comandato dallo stesso motore;
􀀹
sfruttando l’energia residua dei gas di scarico facendoli espandere in una turbina che, connessa attraverso un asse ad un compressore centrifugo, rende possibile la compressione dell’aria (o della miscela aria-combustibile).
Descriviamo brevemente il secondo modo di sovralimentazione facendo particolare attenzione al funzionamento della turbina.

Il problema delle turbine per i turbogruppi di sovralimentazione a gas di scarico, è la temperatura, anche se non vengono raggiunte le temperature tipiche degli impianti turbogas.
Queste macchine però, raggiungono velocità di rotazione elevatissime che unite alle alte temperature dello scarico danno dei problemi di creep; inoltre proprio per come sono concepite, sono soggette a forti sbalzi termici.
Per questo motivo gli studi sono orientati a concepire delle turbine in materiale ceramico che possano resistere bene agli sbalzi termici, al creep e alle vibrazioni.
Nelle turbine atte alla produzione di energia elettrica per ragioni di economicità si rende inaccettabile il raffreddamento delle palette delle turbine. Le temperature massime del ciclo, compatibili con l’uso di superleghe a base di nichel o di cobalto, sono limitate a 900-1000°C.
Composti non-metallici di varia natura (carburi, nitruri, ossidi …) godono come visto, di un complesso di favorevoli proprietà alle alte temperature che le rendono attraenti per un uso energetico. Il carburo o il nitruro di silicio, ad esempio, hanno una resistenza alla trazione, alla compressione, allo scorrimento a caldo (creep), all’ossidazione, alla corrosione e all’erosione superiore a quella delle superleghe; hanno costi intrinseci modestissimi, e potrebbero consentire la realizzazione di turbine non raffreddate a temperature massime del ciclo di 1250-1400°C. Il loro impiego inoltre, scongiurerebbe la paventata carenza di metalli strategici cui si andrebbe incontro se l’uso di turbine in superlega dovesse diffondersi. Partendo da questi punti di vista la tecnologia motoristica si è evoluta lungo questa strada con la sperimentazione e la realizzazione di particolari turbogruppi a geometria variabile applicati a motori ad accensione comandata.
Il problema principale che ha limitato l’uso di queste turbine, ai soli motori ad accensione spontanea, è stato il raffreddamento delle parti meccaniche. E’ noto infatti che la combustione dei gas nei motori ad accensione spontanea di ultima generazione raggiunge temperature dell’ordine di 700-800°C, mentre nei motori a ciclo otto si raggiungono e si superano anche i 1000°C. Dunque è facile capire come i gas di scarico che attraversano il 90
corpo turbina vadano a sollecitare termicamente sia le parti mobili che quelle fisse.
APPLICAZIONI ATTUALI
La casa costruttrice che per prima ha realizzato un turbogruppo a geometria variabile in materiale ceramico per motore ad accensione comandata, è stata la PORSCHE. Il modello su cui è montato questo componente è la nuova 911 Turbo uscita nei primi mesi del 2006.

La turbina a geometria variabile, rappresenta un’evoluzione della classica turbina. La caratteristica peculiare che la distingue dalla “sorella” a geometria fissa, è rappresentata da una serie di palette statoriche che si aprono in funzione della pressione e della portata dei gas di scarico. Questa particolarità, riduce i tempi di risposta del turbogruppo (turbo-lag), conferendo inoltre una risposta più rapida a basso regime di rotazione del motore, e
complessivamente una erogazione della coppia più regolare. Le seguenti immagini mostrano un particolare della turbina con palette statori che chiuse e aperte;
Fig.6.29: Particolare della palettatura statorica chiusa a sinistra e aperta a destra
Nelle immagini seguenti si notano invece due condizioni di funzionamento:
a) Palette orientate per bassi carichi b) Palette orientate per carichi elevati

Nonostante la complessità costruttiva dell’insieme i tecnici Porsche sono riusciti a controllare lo stress termico e meccanico, coadiuvando un ottimo sistema di raffreddamento ad acqua del corpo turbina, e utilizzando una lega ceramica resistente alle alte temperature. La seguente immagine mostra lo stress termico a cui è stata sottoposta la turbina in fase di sperimentazione:
Fig.6.30 funzionamento della turbina in fase di sperimentazione

6.8 IL CERAMIC POWER LIQUID
In questa sezione ci si è occupati degli additivi antiattrito-antiusura per olio motore.
Fra le innumerevoli specie chimiche che già si trovano in soluzione nell’olio motore, esistono dei particolari additivi, che se aggiunti dopo il cambio dell’olio, incrementano le prestazioni dello stesso. Nel campo della lubrificazione, esistono numerosi additivi utilizzati per ottimizzare le caratteristiche dei lubrificanti stessi in base al loro specifico impiego. I più conosciuti sono gli additivi antischiuma, antiossidanti, detergenti, disperdenti, anticorrosivi e antiruggine, correttori di viscosità, antiusura per alte pressioni e promotori di scorrevolezza. Per non uscire fuori dalla nostra trattazione ci si è occupati del “ceramic power liquid”. Quest’ultimo fa parte de gli “ Additivi con molecole solide”.
Questa famiglia di additivi è caratterizzata, appunto, da molecole solide contenute in un fluido veicolante. La possibilità che si creino dei coaguli di particelle solide, in grado di intasare il filtro olio con conseguenze facilmente intuibili, deve essere scongiurata dalla bontà del veicolante che dovrà avere proprietà lubrificanti, antiruggine e detergenti, oltre ad elevate caratteristiche di sospensione e dispersione delle molecole solide in esso disciolte. Considerando che il filtro olio è in grado di filtrare particelle fino a 15-17 micron, le molecole solide dovranno avere dimensioni inferiori. Su motori particolarmente usurati, questa famiglia di additivi svolge una buona funzione di riempimento delle intaccature nelle canne dei cilindri riducendo i consumi d’olio e restituendo parzialmente e temporaneamente compressione e potenza
al motore. Grazie alla maggiore compressione, sulle vecchie auto è possibile notare anche un calo delle emissioni di idrocarburi incombusti ed un miglioramento della combustione. I composti ceramici che compongono questi additivi sono alcuni derivati dello zinco e dei silicati.

6.9 ALTRE APPLICAZIONI NEI MOTORI A COMBUSTIONE INTERNA
Per quello che riguarda i materiali ceramici nella progettazione dei componenti per motori a combustione interna, possiamo elencare alcune particolari applicazioni. La più “antica” e da sempre in fase di ulteriore perfezionamento è la “candela” nei motori ad accensione comandata: Come già descritto nella sezione relativa ai materiali ceramici avanzati, l’involucro isolante dell’elettrodo interno è realizzato in ceramica; in particolare viene utilizzata l’Allumina che presenta ottime caratteristiche isolanti e termiche.

A partire dalla fine degli anni ottanta, con l’introduzione dei motori turbocompressi in Formula1, per via dell’elevata affidabilità richiesta al motore, e le elevate temperature a cui questo era sottoposto si aprirono le porte alla ricerca di materiali innovativi.
Fra le tanti componenti del motore, le camere di combustione, il cielo del pistone e la testa delle valvole, vennero realizzate con uno speciale riporto ceramico, allo scopo di dare una maggiore adiabaticità alla camera di combustione e quindi isolare le parti della testa dalle elevatissime temperature raggiunte in fase di combustione (1400°C), da questi motori capaci di 1000CV/litro. Questi riporti ceramici vennero realizzati con speciali vernici cotte poi in forno ad altissima temperatura.
Negli anni novanta sono state sperimentate alcune soluzioni di riporti cromo-ceramici sulle componenti striscianti dei MCI. A tal proposito, già a partire dal 1992 sui motori più spinti e poi pian piano su quasi tutte le gamme di propulsori, sono state adottate le sedi valvole e le fasce elastiche con questi particolari riporti.
Con tale soluzione si è conferita una maggiore resistenza all’usura, con un raddoppio della durata, ed è stato tecnicamente possibile avvicinare di più la prima fascia elastica al cielo del pistone, così da ridurre il volume entro cui rimangono intrappolati i gas incombusti.